Il genere delle avventure grafiche a stampo prettamente narrativo ha ricominciato a tornare in voga dopo un lungo periodo di stop “post-Monkey Island”, iniziando con titoli come Broken Sword ed arrivando alle due evoluzioni attuali: da una parte abbiamo Telltale e Dontnod con i loro The Walking Dead o Life is Strange, dall’altra abbiamo le first-person adventures, come Everybody’s Gone to the Rapture, Ether One e Gone Home.
Il titolo di cui andremo a parlare in questa circostanza fa parte della seconda categoria, anche se, mi duole dirlo, questa produzione tutta italiana firmata Monkeys Tales non sfrutta a pieno il suo potenziale, soprattutto in termini narrativi.
The Nadi Project ha dalla sua un incipit davvero intrigante: interpretiamo Jeremy Parker, un noto imprenditore che a causa di un incidente aereo si ritrova naufrago in un’isola sperduta, dove dovrà cercare di fuggire cercando allo stesso tempo di risolverne i misteri che avvolgono il vissuto dell’isola stessa, che coinvolgono anche una famiglia che visse lì prima del suo arrivo.
Come detto, il gioco si svolge su un’isola sulla quale si focalizza la storia e rende l’esperienza non dispersiva. Il problema però è che queste limitazioni diventano eccessive nel momento in cui si comincia a notare la presenza di troppi muri invisibili che non permettono al giocatore di raggiungere luoghi che in realtà sarebbero palesemente attraversabili, il che potrebbe dare fastidio al giocatore.
Il gameplay del gioco non è nulla di diverso da qualunque altro titolo di questo genere; avremo la possibilità di trovare oggetti in giro, interagire con gli stessi direttamente (come nel caso dei rubini, dei collezionabili che riveleranno delle informazioni aggiuntive sul passato dell’isola), posizionarli nel proprio inventario ed unirli tra loro al fine di crearne di nuovi e risolvere gli enigmi all’interno dell’isola, che per altro sono piuttosto ben gestiti, pur non trattandosi di nulla di trascendentale.
Esplorare il luogo quindi è fondamentale per arrivare all’obiettivo primario e i piccoli enigmi seguono una loro logica, non risultando particolarmente astrusi o poco accessibili, una cosa che rende la risoluzione degli stessi abbastanza realistica, nonostante manchino di inventiva o di originalità.
La trama è, probabilmente, il punto più debole della produzione, perché se ci troviamo davanti ad una bella premessa narrativa che intriga il giocatore, dall’altra parte il suo sviluppo è eccessivamente minato da una longevità dell’esperienza davvero troppo esigua, che rende la parte centrale troppo frettolosa e poco sviluppata, lasciando con l’amaro in bocca e non permettendo alla storia di dipanarsi a dovere, strozzando qualunque ulteriore coinvolgimento, cosa davvero drammatica per un titolo in cui la storia è il perno centrale dell’esperienza ludica.
Aggiungo anche un reparto grafico ed artistico non particolarmente ispirato, abbastanza anonimo dal punto di vista visivo, senza picchi di design particolari e con Unity non sfruttato a pieno delle sue potenzialità, a cui va ad aggiungersi – e qui parlo espressamente della mia esperienza personale – un’ottimizzazione ancora carente, con cali di framerate drastici in determinati punti del gioco, per essere un titolo così leggero.
Insomma, ci troviamo davanti a qualcosa che poteva e doveva essere di più, le possibilità narrative per questo genere sono davvero infinite e questo titolo non le sfrutta a pieno, dandoci un prodotto realizzato a metà, che necessitava di maggior corposità e qualche innovazione in più sul piano ludico e di design per spiccare davvero sulle altre produzioni.
L’opera prima di Monkeys Tales risulta quindi un lavoro più concettuale, piuttosto che un titolo riuscito a tuttotondo, che però potrebbe lasciar presagire ottimi margini di miglioramento per una software house tutta italiana che sta tentando, finalmente, di proporre qualcosa di concreto nel nostro territorio.