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Quando i videogiochi si scontrano con la storia

Gli editoriali rappresentano il pensiero del singolo redattore e non dell’intera redazione, pertanto offrono una riflessione personale, non vengono corretti dagli editori.

Dopo che Miss Italia è riuscita nel non facile compito di scuotere l’ilarità e la rabbia in ogni angolo del web, anch’io ho infine deciso di trattare della tristemente nota Seconda Guerra Mondiale, seppur in ambito prettamente videoludico. Nel corso di questi ultimi anni, il vasto popolo dei videogiocatori ha infatti richiesto a gran voce un ritorno degli sparatutto al passato, lasciando da parte i temi futuristici e concentrandosi su quelli storici. In particolare, spulciando tra forum e siti ho potuto notare come, in particolare, la Seconda Guerra Mondiale sia una delle ambientazioni maggiormente richieste dai videogiocatori.

Dopo aver letto centinaia di commenti e lamentele, non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa fossero state in grado di fare quelle famose software house che, ai tempi, riuscirono a rendere così predominante nella collettività uno dei periodi più bui della storia umana. Proprio per questo, ho quindi deciso di scrivere un piccolo e personale editoriale per vedere come videogiochi e storia si siano fusi insieme per rendere d’intrattenimento, appunto, la Seconda Guerra Mondiale.

Il bello dello sparare ai nazisti

Partiamo dalle basi e torniamo indietro con la mente a quello che, molto probabilmente, è stato uno dei più importanti capisaldi nel panorama degli FPS in grado di farci provare l’ebrezza di essere un soldato americano che combatte per sconfiggere la Germania nazista, Medal of Honor: Frontline. Fin dai primissimi istanti di quel gioco, era facile distinguere due particolari ben definiti; da una parte avevamo Il nemico per eccellenza, non un’intelligenza artificiale impazzita o un qualche alieno immaginario, bensì la pericolosa macchina nazista, un cambiamento registico che avrebbe profondamente scosso il mercato.

Sniper Elité V2

Capita spesso che nei videogiochi, infatti, i nemici che ci si parino davanti vengano visti come un semplice ammasso di pixel che ci ostacolano la strada nei confronti dei quali risulta estremamente difficile provare qualsivoglia sentimento; trovarsi di fronte ad un nemico computerizzato che, però, aveva effettivamente avuto una parte negli eventi della storia finì invece con il rimescolare totalmente le carte in tavola. Ricordo bene quanto fossi felice all’idea di poter impersonare i veri buoni, quelli che avevano davvero combattuto per scrivere la storia, e rammento altrettanto bene quanto fosse “divertente” sparare ai nazisti.

Sapevo che erano esistiti davvero, sapevo che erano stati artefici di atti disumani e sapevo di stare partecipando alla loro dipartita, seppur in forma virtuale. Il secondo punto da dover prendere in considerazione e, sicuramente, la spettacolarizzazione degli eventi narrati. Medal of Honor: Frontline è definibile come una diretta conseguenza del film “Salvate il soldato Ryan”, con cui ne condivide diversi aspetti, e sono sicuro che in molti, oltre a me, avranno notato numerose similitudini tra il gioco sviluppato da EA Games ed il film diretto da Steven Spielberg.

In particolare, qualsiasi videogiocatore rammenterà sicuramente quella che è, senza ombra di dubbio, la missione più iconica di tutta la serie, ovvero lo sbarco in Normandia, conosciuto da alcuni come D-Day, il giorno dei giorni. L’intero livello era una riproposizione di quanto avvenuto nella pellicola e, in particolare, molta cura fu posta sulla spettacolarizzazione della situazione. Mentre ci si muoveva nel disperato tentativo di raggiungere le trincee nemiche, tutt’intorno a noi era possibile vedere esplosioni, proiettili che volavano in ogni dove e soldati che cadevano uno dietro l’altro. In seguito, come accade sempre per tutto ciò che ottiene riscontri positivi, questi due elementi furono presi e trasportati in numerosi altri brand che, però, si concentrarono anche su altri aspetti videoludici.

Wolfenstein

Durante il cosiddetto periodo d’oro di Playstation 2, infatti, videro la luce numerose serie che, nel giro di pochi anni, si sarebbero ritagliate la loro personale fetta di pubblico nel vasto universo videoludico. In particolare, fu così che nacque Call of Duty, brand che avrebbe raggiunto l’olimpo videoludico concentrandosi sul ricreare storie cinematografiche caratterizzate da un forte pathos emozionale ed arricchite da numerose fasi scriptate. La tematica della Seconda Guerra Mondiale, però, non venne presa solo dal suo lato prettamente storico, ma venne anche vista sotto un profilo maggiormente paranormale, e Wolfenstein ne fu il risultato più evidente.

Questa serie tutt’ora in piena attività, fin dal suo primo titolo, ci ha infatti calati in universi alternativi dove, ai nazisti, venivano affiancate entità paranormali quali demoni, fantasmi, non morti e chi più ne ha più ne metta. Questo storico brand si è guadagnato il suo meritato successo non tanto per l’attenzione a ricreare una comparto narrativo realistico e credibile, quanto piuttosto a lanciare il videogiocatore nel pieno dell’azione, caricandolo d’armi e munizioni per trivellare qualsiasi essere vivente (e non) presente su schermo. Chiudiamo in bellezza con un’altra serie di grande caratura, Sniper Elité; in questa caratteristica serie, il videogiocatore si ritrovava a vestire i panni di un cecchino americano professionista costretto a farsi largo tra le file naziste con la massima discrezione possibile.

Wolfenstein The Old Blood - Zombie

La deriva action che aveva caratterizzato tutti i titoli sopra elencati qui era totalmente assente per far posto ad uno stile di gioco più lento e ragionato. In Sniper Elité era il realismo del gameplay a farla da padrone, aspetto che costringeva il videogiocatore a dover analizzare con estrema attenzione ogni minima variabile presentabile sul campo di battaglia, dalla velocità del vento alla distanza del proprio bersaglio, fattori che contribuirono al successo della serie che, negli anni, è riuscita ad aggiudicarsi il favore di milioni di videogiocatori.

Tutti i grandi marchi elencati fino ad ora ottennero la loro fama per caratteristiche diverse eppure, allo stesso tempo, ognuno di questi brand possedeva una comune particolarità, un nemico ben identificabile e, soprattutto, nei confronti del quale era molto semplice provare un forte senso d’odio, il tedesco nazista.

La moda del momento

Arrivati al cambio generazionale che vide la dipartita di Playstation 2 ed Xbox e la conseguente nascita di Playstation 3 ed Xbox 360, però, qualcosa andò terribilmente storto e si andò a creare una grave frattura tra sparatutto e videogiocatore.

Negli anni passati, infatti, ogni più singolare aspetto della Seconda Guerra Mondiale era ormai stato preso in considerazione ed il successo di alcune serie di punta, prima fra tutte Call of Duty, spinse molti altri sviluppatori a ricalcare l’onda del successo. In breve tempo, il mercato finì con l’essere saturo di FPS ed il videogiocatore, di conseguenza, perse interesse nel genere; la moda che per così tanti anni era stata quella predominante nell’ambiente videoludico aveva infine perso il suo fascino.

Call of Duty: Black Ops 3 - Multiplayer

Com’è ovvio che sia, ad ogni moda che viene meno ce n’è un’altra che si fa avanti e, ovviamente, anche il genere degli sparatutto ha subito un cambio di moda di grande importanza, mettendo da parte il tema storico e optando, prima, per un periodo più attuale e, in seguito, sfociando nel fantascientifico. Improvvisamente, il videogiocatore si ritrovò con granate traccianti, carri armati volanti ed esoscheletri in grado di deviare i proiettili, piccoli elementi di gioco che hanno contribuito a rendere gli FPS odierni ancor più frenetici e spettacolari di quanto già non fossero in passato, un nuovo modo di giocare che in molti hanno apprezzato… per un certo periodo di tempo.

Infatti, nel corso degli anni che hanno caratterizzato vita, morte e miracoli di quella che oramai potremmo definire old-gen, le software house hanno voluto seguire lo stesso identico modus operandi visto in passato, con il conseguente risultato di saturare nuovamente il mercato videoludico con un’infinità di FPS futuristici e, purtroppo, non sempre di qualità. Ecco che quindi si torna a parlare del presente, un presente che rappresenta un nuovo cambio di moda in cui videogiocatori hanno nuovamente richiesto a gran voce di tornare ai fasti di un tempo. Onestamente, però, qualche piccola domanda non posso fare a meno di pormela e, in particolare, non posso non chiedermi se un semplice cambio d’ambientazione sarà davvero sufficiente a calmare gli animi di milioni e milioni di utenti spazientiti. Insomma, siamo tutti d’accordo ad un ritorno alle “origini”, ma non chiudiamoci unicamente su quest’aspetto.

Medal of Honor: Airborne

Va benissimo che i videogiocatori vogliano un cambio di rotta, ma non limitiamoci all’aspetto puramente narrativo del titolo. Personalmente, apprezzerei molto di più lo sviluppo di un’intelligenza artificiale maggiormente raffinata, in grado di eseguire tattiche complesse e che possano effettivamente mettere in difficoltà o, ancora, non mi dispiacerebbe assistere ad un abbandono del classico schema a corridoi proprio di ogni sparatutto in favore di una struttura più aperta ed in grado di offrire diverse strade ed approcci per raggiungere un determinato obiettivo (a patto che, però, anche gli FPS non mi vadano a diventare dei free-roaming che altrimenti mi vado a buttare direttamente dalla finestra).

In definitiva, comprendo e sono d’accordo sul voler cambiare setting narrativo così da poter tornare ad abbracciare tematiche e situazioni maggiormente familiari (fermo restando che tra un certo tot di anni ci ritroveremo nuovamente a chiedere un ritorno alla fantascienza in un ciclico gira e rigira che non avrà mai fine), ma allo stesso tempo non fossilizziamoci unicamente su questo. Le vere mancanze o, più precisamente, i veri difetti che vanno limati all’interno del panorama degli FPS sono ben altri.

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