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I videogiochi violenti: la storia della nuova caccia alle streghe

Negli ultimi giorni la community di videogiocatori è stata richiamata all’attenzione, un campanellino d’allarme è scattato ancora una volta. Colpiti al cuore e nell’orgoglio si sono schierati a difendere la loro passione. Io, noi, voi, tutti l’abbiamo fatto. Ed è giusto così, questo significa che il nostro passatempo ci piace davvero, così tanto che, guai a chi ne parla male. Sfortuna vuole che è l’hobby più discusso al mondo, uno dei più aspramente criticati, per anni i videogiochi hanno sostituito le streghe. E la caccia, è aperta sin da prima di Striscia la notizia.

La fine: GTA e Striscia

Il programma di Mediaset, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie che va avanti sin da prima dell’avvento dei giochi dove “viviamo la vita reale del protagonista”. Andremo quindi a ripercorrere insieme i momenti nei quali i mass media hanno etichettato i videogiochi in malo modo, capendone il motivo e cercando una spiegazione. Il nostro Matteo Bruno ha già parlato del servizio di Max Laudadio, qualche utente ci ha però scritto di come avessimo attaccato il programma senza motivo. Come abbiamo scritto, il messaggio generale di Laudadio non è per niente sbagliato. Ragazzi, chiariamolo subito: i videogiochi sono violenti. E a questo punto dovremmo aprire un’infinità di parentesi. “Non tutti”, “Allora anche i film lo sono”, “C’è il PEGI”. Le solite risposte che per istinto ci vengono alla mente per difendere ciò che amiamo.

È tutto corretto. L’inviato di Striscia voleva andare a parare proprio sulla classificazione europea. Cosa ha istigato i videogiocatori ha tirare fuori i forconi? Il servizio parte subito sbagliando. Voi saprete bene come sia classica la sdolcinatezza del “Eh, ai miei tempi i videogiochi violenti non esistevano”. Vi ricordate cosa abbiamo scritto in apertura? La caccia alle streghe è aperta da ben prima di GTA. Questo lo scopriremo più avanti.

Dopo il prologo su Tetris, ecco che la testa di tutti noi ha preso letteralmente fuoco. Parole su parole si accumulavano nella nostra mente. Un classico di questi servizi è l’andare decisi, dritti dritti a parlare delle azioni “poco legali” che possiamo compiere nel gioco in questione. E questo ci infastidisce perché, noi, sappiamo bene come in realtà GTA non sia solo quello. Sappiamo bene che significato ha il mondo che Rockstar crea, sappiamo che dietro a quelle azioni c’è una trama, una giustificazione, ci sono dei personaggi profondamente caratterizzati. Appunto, noi lo sappiamo, ma chi guarda Striscia la notizia non sono solo videogiocatori. “La massa” viene influita da questo genere di servizi, ed è per questo che ci dà fastidio quando Laudadio mostra il gioco, perché parla solo del suo lato “socialmente discutibile”, andando ad infangare un intrattenimento che solo ultimamente ha migliorato la sua nomea.

Videogiochi violenti GTA V striscia la notizia

Sono proprio le parole usate che sono forti, accentuano il più possibile il fatto che quello che stanno mostrando è negativo, per forza, lo deve assolutamente essere. Arriviamo però al succo, Rockstar accentua sempre le situazioni che avvengono in GTA. Volutamente è così, come volutamente l’ambientazione deve essere quella americana – tralasciando GTA: London – per una messa in scena sopra le righe che in realtà, quella scorza di follia, non è altro che una cruda parodia della realtà. Perché prendersela con un videogioco, tutto quello mostrato succede nel mondo, nel nostro mondo, perché non fare una denuncia sociale su quello quindi?

Noi, ancora una volta, lo sappiamo bene. Il ragazzino/bambino è così bene informato sulla società americana? È questo il vero problema che voleva sottolineare Laudadio, sicuramente, siamo tutti d’accordo, lo poteva affrontare in modo diverso. L’enorme popolarità di Youtube ha espanso il mercato videoludico, e con essa la fascia d’età. Molti si avvicinano a determinati giochi dopo aver visto il proprio beniamino giocarci. È da anni che si parla del PEGI e di come questo non rappresenti alcun tipo di impedimento.

E così deve essere, il PEGI è una classificazione, atta a mettere in allerta il consumatore, che nel caso espresso da Laudadio non può essere il minorenne in sé, ma un adulto consapevole di ciò che il minore sta acquistando. Da diversi anni la classificazione sulle confezioni ha adottato delle colorazioni atte ad attirare ancora di più l’attenzione, è impossibile quindi non essere coscienti di ciò che si acquista. Dopo il servizio di Striscia la notizia, molti colleghi del settore si sono adoperati scrivendo articoli o creando video per far conoscere la classificazione europea del videogioco e del suo funzionamento, e non possiamo che esserne felici, il PEGI deve essere diffuso e bisogna che si sappia della sua esistenza. Ricordiamo di come anche la GamesWeek si sia adoperata in tal senso.

Nella conclusione del servizio, viene interpellata l’onorevole Franca Biondelli, la quale fa riferimento ad un disegno di legge presentato circa sette anni fa che avrebbe dovuto normare la vendita dei videogiochi violenti. Esattamente nel 2007 uscì un videogioco che fece molto parlare di sé e guarda caso si tratta ancora una volta di una produzione di uno sviluppatore amato, soprattutto dalle famiglie.

Il creatore di uragani: Rockstar

Rockstar Games è semplicemente incredibile. Chi continuerebbe a ripetere le stesse azioni che fino a poco prima ti avevano cacciato in un uragano? L’Hot Coffee era un contenuto nascosto, tagliato dalla versione finale di San Andreas, eppure bastò a famiglie e azionisti per creare uno dei più grandi scandali della storia dell’industria. Più di venti milioni furono persi dallo sviluppatore a causa di scene interattive di sesso, ma torniamo al discorso violenza, Manhunt è sicuramente il suo sinonimo.

Incredibile come il titolo sia stato accusato di aver istigato un ragazzo, Warren LeBlanc ad uccidere il suo amico Stefan Pakeerah. Intendiamoci, il titolo è estremamente violento, i contenuti sono innegabili e se possono risultare indifferenti per molti, è anche vero che l’emulazione esiste. In realtà si scoprì comunque come l’omicida non possedeva nessuna copia di Manhunt, come i media fecero intendere. Ed è in queste situazioni che essi diventano indifendibili, e sono questi i casi in cui il videogiocatore non può fare altro che indignarsi. In questo caso “il videogioco violento” è stato preso come puro capro espiatorio, la polizia negò infatti ogni possibile collegamento tra il gioco e l’omicidio.

Videogiochi violenti GTA V striscia la notizia

Il danno d’immagine ormai era fatto, Rockstar era stata associata ad un crimine, era stata accusata di aver istigato violenza con un loro prodotto. Manhunt non poteva avere un seguito, impossibile. Nel 2007 uscì Manhunt 2. L’allarme mediatico fu enorme. Decisamente superiore di quello messo in piedi con il primo capitolo. Il gioco di Take Two, fece scomodare non solo il Telefono Azzurro e il Codacons, ma anche l’allora ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. Esso, e non solo, definì Manhunt 2 come un gioco sadico, con un immotivato incoraggiamento alla violenza e all’omicidio (non vi ricorda la descrizione di un titolo recente che ha attirato su di sé molti sguardi?).

Insomma, ne venne bloccata la commercializzazione perché definito inadatto per gli adulti. Avete capito bene, stiamo andando oltre il “i bambini non devono giocarci”, stiamo parlando di un divieto che è stato in grado di privare ad un adulto il libero acquisto di un prodotto. Questo per farvi capire come in passato le accuse contro questo intrattenimento furono davvero pesanti, in confronto il servizio di Striscia è una frivolezza.

Elefanti al bowling

Tra i tanti eventi tragici che la storia può ricordare, ne esiste uno che è particolarmente legato al nostro discorso. Nel 1999 dodici studenti e un insegnate morirono per mano di due ragazzi, Eric Harris e Dylan Klebold, innumerevoli ne uscirono feriti. Il massacro della Columbine vide i media incolpare ogni genere di intrattenimento possibile, dai film alla musica passando per il bowling. Ovviamente, non possono mancare i videogiochi. Doom era stato “estratto” come colpevole perché Harris ne creava delle mappe. A quanto pare entrambi ne erano davvero ossessionati, e sfruttavano il gioco di ID per sfuggire dalla realtà. Realtà che era problematica, fatta di bullismo e depressione. Diversi psichiatri dimostrarono che Harris era psicopatico, ed è per questo che ripetiamo come i “copycat killer”, gli emulatori per intenderci, esistono e purtroppo, un intrattenimento per molti innocuo può davvero diventare una fonte in casi problematici. Ma il problema di base è come i media videro il problema prima nei videogiochi e poi in quello sociale in cui erano immersi i due ragazzi.    

L’inizio: tu ci vedi un gremlins, io una persona

Parlando più in generale, le controversie contro i videogiochi negli anni sono state molte. Citando la frase in apertura dell’articolo, “la caccia, è aperta sin da prima di Striscia la notizia”, ma molto prima. Death Race non era altro che uno sfondo nero con degli omini bianchi che dovevamo investire con la nostra macchina in modo da guadagnare punti. Seppur questi rappresentassero dei gremlins, svariati media americani etichettarono Death Race come istigatore di violenza. Stiamo parlando del 1976, l’anno prima uscì Anno 2000 – La corsa della morte. Famosa poi la rivisitazione di Carmageddon, dove gli sviluppatori furono costretti a sostituire i pedoni con degli zombie dal sangue verde. In Italia, la censura di Resident Evil fu incredibile, il più per le giustificazioni di chi impose il blocco. Elsa Vinci riportò su Repubblica del 19 giugno 1999 le seguenti parole del criminologo Francesco Bruno:

“Per finirlo occorre un mese e, con una buona dose di suspense, tiene davvero inchiodati al video. Una simile esposizione alla violenza fa assorbire modelli e comportamenti negativi. In questa storia muoiono anche i buoni, non sono messaggi da dare ai bambini”.

In effetti, tornando alla classificazione in Italia dei videogiochi, in quel periodo il PEGI non esisteva, l’ELSPA – che comunque si presentava sulle copertine confusionario e poco chiaro – si occupava di indicare l’età solo sui videogiochi prodotti nel Regno Unito. È quindi decisamente più condivisibile la preoccupazione in quel periodo che determinati contenuti venissero visti da un pubblico non adatto. Negli anni a seguire abbiamo però visto telegiornali, personaggi dello spettacolo e servizi riguardanti i contenuti presenti nei videogiochi, con il PEGI già presente sulle copertine.

Videogiochi violenti GTA V striscia la notizia mass media

Di episodi da raccontare ne avremmo tantissimi, avremmo noi moltissimo ancora da dire, ma in questo articolo abbiamo già preso in esame diversi aspetti delle controversie mosse negli anni contro i videogiochi. Abbiamo visto come è sì vero che questi possano presentare dei contenuti, molto in alcuni casi, violenti, di come questi possano, effettivamente, influenzare una persona di per sé problematica, ma abbiamo anche visto come i media siano andati a sfruttare questo intrattenimento come capro espiatorio, piuttosto che analizzare i problemi della società, centrali in alcuni casi. Ripercorrendo la storia, la censura e l’attenzione da parte delle legislazioni era decisamente più aspra e dura. Ciò che a noi, videogiocatori, non ci piace, è come ancora si debba parlare del nostro intrattenimento con quell’enfasi negativa – vedasi l’introduzione del servizio di Laudadio di cui abbiamo parlato sopra – tipica di chi non lo conosce, non ci vive e di certo non lo vive. Noi intanto, mettiamo da parte i forconi e continuiamo a goderci la nostra cara passione.   

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