Vi racconto come ho messo a tacere la mia - a volte ossessiva - "voglia" di giocare ai Battle Royale, specialmente a Fortnite.
Da Settembre 2017 a oggi, il mondo dei videogiochi ha subito un enorme cambiamento. Fortnite, il più grande dei Battle Royale, è riuscito inaspettatamente ad attirare milioni di videogiocatori, aiutando – inavvertitamente – anche molti streamer, capaci di fare leva su questo fenomeno costruendo e/o rafforzando la propria community e la propria identità online.
Detto questo, Fortnite è – ed è stato – davvero importante per il settore anche se, come accade spesso, bisogna vedere ed osservare anche l’altra faccia della medaglia. Molti giocatori là fuori – me compreso – hanno attraversato una fase difficile, ovvero quella di una vera e propria dipendenza da Fortnite, se così la si può definire. Alcuni giorni mi sono ritrovato a svegliarmi con il desiderio – condito a ossessione? – di buttarmi dal magico pulmino a mongolfiera con il mio bel deltaplano a forma di ombrello, allo scopo di far fuori letteralmente altri giocatori con la speranza e l’obiettivo di raggiungere la vittoria reale. Più non ci riuscivo per qualche morte ingiusta o causata da qualche reale errore di valutazione – o di superiorità dell’avversario – più tentavo invano di riprovarci, ancora e ancora.
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Altre volte – visto il poco tempo a disposizione per giocare – mi sono detto: “Vabbè, un’oretta a Fortnite ci sta… inutile giocare ad un altro videogioco single player. Ho poco tempo!” Col passare delle settimane e dei mesi, la sopracitata affermazione è diventata una vera e propria scusa. Una scusa dalla quale non riuscivo davvero a liberarmi… Non c’era un gioco che riuscisse veramente a distaccarmi da Pinnacoli Pendenti, Palmeto Paradisiaco, Lande Letali e compagnia bella. Ogni aggiornamento di contenuti di Fortnite era lì, pronto ad attirarmi nuovamente nel mood del Battle Royale. Non sapevo più cos’altro fare, ma poi sono arrivati in mio soccorso due produzioni imponenti e mastodontiche: Assassin’s Creed Odyssey e Red Dead Redemption 2.
Per questo editoriale, mi limiterò a parlare del primo, visto che sono quasi alla fine dell’avventura che però – badate bene – continuerà, molto probabilmente, anche dopo il suo raggiungimento, viste le numerosissime attività e missioni da portare avanti nell’endgame e il prezioso e continuo supporto settimanale da parte di Ubisoft.
Assassin’s Odyssey è riuscito nuovamente a farmi sentire vivo – videoludicamente parlando – grazie alla sua storia, a quelle degli NPC realmente esistiti nella realtà (come Sofocle, Euripide, Alcibiade, Socrate, Aristofane etc) che ho studiato durante il mio percorso universitario e alla possibilità inedita di scegliere come rispondere ai dialoghi. Insomma, la narrazione è stata in grado di prendermi, così come il gameplay e le tantissime attività da portare a compimento tra missioni primarie, secondarie e altre collaterali, sparse qua e là per tutto l’immenso territorio dell’Antica Grecia.
In poche parole, Assassin’s Creed Odyssey non fa rimanere fermo il giocatore nemmeno per un minuto, questo perché le cose da fare sono numerosissime ed è davvero divertente e gratificante intraprenderle per poi portarle a termine. Far crescere di potenzialità Alexios di livello e di abilità, migliorandone anche l’armamentario, mi ha fatto poi entrare in simbiosi con il personaggio. Insomma, tutte queste meccaniche riescono realmente a farti creare l’alter-ego che avresti voglia d’impersonare.
Senza andare fin troppo off topic, Assassin’s Creed Odyssey mi ha fatto ragionare su come quelle ore passate su Fortnite fossero diventate fuorvianti, ingiustificate e – in un certo senso – esagerate. Ha fatto nascere dentro di me un pensiero che reputo veritiero e che mi ha dato molto da riflettere: “Marino, il tempo è quello che è. Lì fuori ci sono tanti videogiochi single player che non aspettano altro che essere non solo giocati, ma anche vissuti. Chissà che cosa ti stai perdendo… quanto ti stai perdendo!”.
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Fortnite è un gioco play for fun che può offrire uno spirito acceso di sfida, oltre a skin ed emote da sbloccare. Insomma, mi stavo perdendo in un vortice davvero tenebroso da cui non riuscivo più a vedere la luce. Di certo quando deciderò di ributtarmi con il deltaplano sull’isola di Fortnite, lo farò con maggiore consapevolezza. Vi lascio, però, con un’ultima riflessione: “Le esperienze narrative ti fanno crescere e, se realizzate a dovere dagli sviluppatori, ti rimangono impresse nelle mente, nell’animo e nel cuore. Le esperienze prettamente multiplayer e/o pvp ti danno mordente, divertimento e una dose di frustrazione. Oltre all’aspetto competitivo che cos’altro ti danno…? Niente.”