Dopo una vita videoludica passata alla larga da qualsiasi cosa ricordasse anche solo vagamente un Souls, mi sono innamorato di un genere che ingenuamente avevo ripudiato.
Queste erano le mie caratteristiche ad inizio 2018…e la domanda iniziale, in un ipotetico scambio di opinioni a riguardo sarebbe: “Perché? Perché fino a poco tempo fa non ti volevi approcciare a Demon Souls, Dark Souls, Bloodborne e a tutti quei fratellini che, a cadenza più o meno regolare, il mercato ti propone?”
La risposta è scontata e banale, semplicemente mi ero sempre approcciato a questo genere di titoli nella maniera errata.
Mi spiego meglio.
In effetti, un tentativo con Bloodborne lo avevo fatto in passato, ma era durato il tempo di un battito di ciglia, una decina di morti e la certezza che …“No, i Souls non fanno proprio per me!!”
Sono sempre stato convinto (e lo sono tutt’ora) che videogiocare voglia dire divertirsi e staccare per un po’ la spina dai problemi quotidiani che la vita ci riserva. Se il grado di frustrazione mentre abbiamo il pad in mano e giochiamo ad un determinato titolo è superiore al divertimento che lo stesso ci regala, beh allora semplicemente, quel gioco non fa per noi. E badate bene, non sto parlando di difficoltà, perché chi come me è figlio degli anni 80, di giochi difficili, realmente difficili, ne ricorda a decine.
Nel mio caso, il tentativo di approcciarmi a Bloodborne, con un background recente composto da titoli dove la difficoltà era andata scemando in maniera esponenziale con l’evolversi del media, era avvenuto nella maniera più sbagliata possibile.
Alla fine, dopo averlo comprato, provato e ripudiato, nel giro di due giorni lo riportai in negozio.
“Scaffale tutta la vita” pensai fra me e me.
E indirettamente buttavo anche l’ultima palata di terra durante il funerale di tutti i Souls ed i Souls-like, passati presenti e futuri.
Avevo sempre adorato il level design di quei mondi, avevo amato (guardando qualche fugace gameplay su YouTube) come personaggi e Boss venissero caratterizzati in maniera superlativa, sia dal punto di vista scenografico che come pattern di attacchi, però mi ero sempre fermato ad un placido “vorrei ma non posso”.
Il fatto di morire ogni 3 secondi, il fatto di perdere – in caso di morte – tutto ciò che si aveva faticosamente guadagnato, il fatto di avere non solo dei Boss onnipotenti, ma anche semplici e banali nemici in grado di ucciderti con un sol colpo, non avrebbe MAI potuto farmi apprezzare Bloodborne e/o i Dark Souls e quindi tenermi alla larga da quel genere di giochi sarebbe stata l’unica soluzione.
Poi però “una serie di fortunati eventi” sconvolse la mia vita videoludica. Conobbi un ragazzo appassionato dei Souls, davvero bravo in questo genere di giochi e che mi disse, nel corso delle nostre chiacchierate videoludiche, che avevo detto una inesattezza. Io non avevo provato Bloodborne, in realtà io avevo già deciso che fosse un titolo da non provare, ancora prima di infilare il disco nella console.
Quel titolo, come tutti i Souls, meritava una prova differente prima di capire se potesse o meno essere un titolo adatto a me.
“Provalo un paio d’ore” mi disse. “Provalo senza fermarti, senza farti domande, provalo solo per il piacere di giocarlo”. Non obbiettai, forse più per evitare futili discussioni che per reale convinzione. Contestualmente in quel periodo venne messo gratis col Playstation Plus quello stesso Bloodborne che avevo (forse) ripudiato troppo in fretta.
Ci pensai un attimo, poi decisi di dargli (e darmi) una seconda possibilità.
Lo riscaricai. Lo installai nuovamente. Nuovamente premetti Start…e….magia!
Non solo feci quelle famose due ore di prova, ma andai avanti, terminai il gioco e mi piacque così tanto da buttarmi a capofitto anche sulla serie di Dark Souls. Giocai e terminai il primo capitolo nella versione Remastered, giocai, terminai e platinai Dark Souls 3 ed ora mi sto dividendo fra Dark Souls 2 e Demon Souls!
Non fraintendetemi però, non mi considero assolutamente un esperto dei Souls, né per quanto riguarda il gameplay né tanto meno per quanto riguarda la lore. Ma da allora, la voglia di leggere e di saperne di più sui vari mondi che questi titoli ci regalano e sui personaggi che incontriamo, quella voglia è sempre più pressante!
Ma cosa è cambiato in me per farmi amare in maniera così viscerale i Souls?
In me nulla, ma sicuramente un mio approccio differente ha contribuito a farmi entrare meglio nel mood del genere e quindi calarmi perfettamente nei panni del Souls-gamer.
Per provare a farvi capire meglio il concetto, vi spiegherò i miei iniziali dubbi, le mie paure inerenti i Souls e di come, un semplice cambio di prospettiva mi ha aiutato a farmi innamorare delle opere di Hideataka Miyazaki e di From Software.
Difficoltà.
Indubbiamente i Souls sono giochi difficili, ma i motivi vanno ricercati non solo in quello che il videogioco ti offre in termini di sfida, ma soprattutto in quello che questa tipologia di gioco NON ti offre:
E qui il primo e forse più importante cambio di approccio.
È vero, il gioco è difficile, ma basterà avere pazienza, capire i pattern dei nemici o dei boss e livellare abbastanza da rendere gli scontri più equilibrati, più divertenti ed ovviamente anche più appaganti. Se è vero che nelle prime fasi di gioco le continue morti saranno la normalità è altrettanto vero che dopo un paio d’ore passate a “conoscere” il gioco, a salire di livello, a capire vantaggi e svantaggi di una particolare arma o armatura, saremo pronti a fronteggiare i nemici ad armi pari (o quasi) e comunque carichi di quella energia mentale, fonte necessaria per proseguire il titolo.
Altra nota dolente, almeno per me, risiedeva nel fatto, morendo, di perdere le anime (gli echi del sangue nel caso di Bloodborne) che avevamo guadagnato fino a quel momento, con la triste prospettiva di dover ricominciare dall’ultimo savepoint raggiunto. Savepoints che nei Souls prendono la forma di falò e sono posizionati in maniera strategica ma estremamente diradata.
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L’importanza delle anime o degli echi è ovvia per chi conosce il genere, a tutti gli altri basti sapere che sarà grazie a questi oggetti che potremo salire di livello e quindi migliorare le caratteristiche del nostro personaggio.
Con l’avanzare dell’esperienza si capisce però che ogni falò è realmente posizionato in una zona importante, ok non ci sono punti di salvataggio intermedi, ma ci basterà poco per attivare qualche shortcut (un ascensore, una porta che viene aperta, una scaletta) ed evitare così di rifarci l’intero percorso per tornare al punto della nostra dipartita. E se saremo così bravi da non morire nel nostro secondo tentativo, proprio lì dove eravamo morti, troveremo ad aspettarci le nostre anime, credute inesorabilmente perse ma che, come un premio per la nostra caparbietà, potremo recuperare.
Ultimo punto che voglio toccare e che inesorabilmente mi creava un blocco mentale erano i Boss. Giganteschi, bellissimi e di una difficoltà assurda. Per i Boss vale lo stesso discorso che facevo poco sopra. Conoscendo i pattern di attacco e salendo un po’ di livello, ogni scontro diventerà fattibile, a patto però di capire a quale tipo di attacco sono più sensibili e se, volta per volta, valga la pena puntare su un’armatura resistente ma che impedisce balzi e movimenti fluidi e veloci, oppure optare per qualcosa di più leggero, sensibile ai colpi nemici ma in grado di renderci leggiadri come piume.
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I Souls, più di ogni altro titolo degli ultimi anni, DEVONO essere studiati, conosciuti, ammirati ed alla fine anche il nemico più temibile potrà diventare alla portata di tutti (o quasi).
E qui secondo me entra in gioco la possibilità che dovrebbe, nel caso si avessero ancora dei dubbi, farli definitivamente svanire.
I Souls danno al videogiocatore la possibilità di richiamare durante la partita, sia NPC che altri giocatori reali, sia per affrontare in compagnia i Boss, sia (ma questo solo nel caso di giocatori reali) di vivere in coop l’intera avventura.
Io l’ho fatto, durante la prima run su Dark Souls 3, quel famoso amico, mi ha accompagnato in più di una circostanza e quando affronti l’avventura in compagnia di qualcuno che ne sa più di te, inevitabilmente impari trucchi ed astuzie, attacchi e contromosse che ti risulteranno fondamentali nel proseguo della storia. Beh, ho imparato talmente bene che le successive 4 run le ho effettuate da solo, trovando ogni scontro davvero avvincente e divertente. Il senso di rabbia e frustrazione che mi aveva accompagnato la prima volta su Bloodborne era solo un ricordo che ora lasciava il posto ad un amore viscerale per questa tipologia di giochi.
Da quale iniziare? Lì sta solamente a voi, io ho preferito, conoscendo il mio essere nabbo all’ennesima potenza, iniziare con quelli più recenti e quindi con un grado di fluidità maggiore. In sequenza ho giocato a Bloodborne, Dark Souls 3, Dark Souls ed ora sto giocando a Demon Souls e Dark Souls 2.
Chiariamoci, i Souls non sono giochi per tutti, ma non per demerito loro, non per una difficoltà esagerata o per la frustrazione che ti accompagna durante la storia, no. I Souls non sono giochi per tutti solamente perché non tutti hanno la voglia di approcciarsi a loro nella maniera corretta. Non è un problema del media, è un problema del fruitore di quel media.
Alla fine di questo mio sproloquio, spero che chi avesse giocato ed amato i Souls sia d’accordo con questa mia analisi, un po’ banale e raffazzonata, ma spero ancora di più di essere riuscito a convincere chi, come me, si è sempre tenuto alla larga da questo genere di giochi, a mettere da parte paure e dubbi, inserire il gioco nella console ed entrare in un mondo che, se avrete la voglia di farvi rapire, lo farà nella maniera più romantica ed imprevista che possiate immaginare.