Il titolo di Brainseed Factory è artisticamente interessante, ma presenta profonde lacune tecniche che ne compromettono la giocabilità.
In un celebre film italiano degli anni ottanta si diceva: “ma cosa dice?! Le parole sono importanti!”, ed effettivamente sembra che la creatura di Brainseed Factory riassuma appieno questa filosofia. Typoman: Revised è la versione rivisitata, appunto, dell’originale Typoman, uscito non più di qualche mese fa, in quel di novembre 2015, per Wii U.
L’estate 2016 si sta rivelando una finestra di lancio rivoluzionaria per gli sviluppatori indipendenti. Salvando la pace di pochi, ma blasonati, titoli (anche se, per il nostro Riccardo Rossi, Deus Ex: Mankind Divided ha clamorosamente deluso le aspettative) in queste afose settimane abbiamo assistito alla nascita di alcuni indie che, in tutto e per tutto, possono essere considerati piccoli capolavori.
Giochi come il cupo Inside, il pittoresco Abzu, persino il bistrattato No Man’s Sky hanno dimostrato come un’idea semplice, se adoperata con maestria artistica, possa stupire in positivo i videogiocatori più “sensibili” facendoli sentire come i protagonisti privilegiati di un viaggio alla scoperta di sé stessi.
Perché alla fine il senso di storie come queste – che poi “storie”, nel senso puro del termine, non lo sono – è lasciarne l’interpretazione alla sensibilità del giocatore. In questo filone si pone proprio Typoman: pur non trovandoci di fronte a un livello tecnico particolarmente alto, la “non-storia” di questo omino stilizzato il cui obiettivo è districarsi tra una lettera e l’altra riesce comunque a colpire nel profondo.
In effetti Typoman: Revised, così come il suo originale per Wii U, è questo: il giocatore è chiamato a impersonare un omino stilizzato, come detto, il cui corpo è formato dalle lettere che compongono la parola HERO.
In questa piccola dinamica sta il senso del gioco stesso: la fuga del protagonista da misteriose e mostruose entità (anch’esse, come gran parte degli elementi su schermo, formate da lettere), la sua capacità di modellare le parole e la necessità di queste per proseguire nei vari puzzle del gioco platform non sono altro che metafora del quotidiano, nel quale l’utilizzo delle parole – buono o cattivo che sia – ci rende ciò che siamo.
Le parole hanno anche un effetto boomerang, spesso ciò che diciamo ci si ritorce contro proprio come i mostri che inseguono l’omino. L’idea di base è qualcosa di delizioso e affascinante, il resto “assorbe” da produzioni che hanno fatto scuola per il genere dei puzzle-platform dall’identità così profonda.
Su tutti, è chiaro quanto il team di sviluppo abbia attinto molto da Limbo, a partire dall’atmosfera cupa e soprattutto dall’utilizzo dei colori: Typoman non è propriamente in bianco e nero ma, come Inside, tende a giocare sull’accostamento di colori freddi, su tutti il grigio, con deboli sfumature di colori caldi. Il risultato è, per usare un eufemismo, un effetto “acido” che accentua la desolazione del mondo di gioco.
Il concept di base è già visto, per quanto riguarda il gameplay gli sviluppatori hanno provato a fare qualcosa di diverso il cui risultato è – in parte – deludente. Come già detto all’inizio, l’utilizzo delle parole, il loro posizionamento e il relativo spostamento in aree per così dire strategiche sono necessari per proseguire nell’avventura – in cui si è costantemente braccati – e nella risoluzione dei puzzle.
Ad esempio, scambiando l’ordine di alcune lettere in una parola – spesso inventata o senza senso – se ne può creare una calzante con l’apertura di un cancello o l’innalzamento di una barriera. Il tutto, molto spesso, mentre si sta scappando dai suddetti mostri o da effettuare in pochissimi secondi, il tempo necessario a un letale gas di avvelenarci e farci ricominciare il puzzle da capo.
Purtroppo il difetto principale del titolo risiede nella pessima giocabilità, eccessivamente lenta ma soprattutto legnosa nelle fasi puramente platform. Personalmente ho riscontrato diversi ritardi, almeno su PC, tra la pressione del tasto e la risposta della CPU nell’effettuare un semplice salto. Il risultato è che chi scrive è morto più volte per un salto “sbagliato” che per la difficoltà intrinseca del gioco.
Una pecca di fondo, a mio parere, piuttosto grave nell’economia della fruibilità, ma soprattutto del godimento, di Typoman, la cui versione Revised per PC avrebbe dovuto sistemare questi piccoli, grandi errori tecnici piuttosto che effettuare una sorta di remake di puzzle e ambientazioni. Se Typoman avesse attinto di più ai suoi elementi ispiratori – non solo nello spirito e nell’identità, ma anche nella stabilità e nella semplicità del concept tecnico – di sicuro starei elogiando un titolo piccolo nella struttura e nelle ambizioni, ma enorme dal punto di vista della profondità artistica (un po’ come ho amato alla follia quella perla di Inside).
Se però riuscirete a scendere a compromessi con un gameplay legnoso fin del midollo, a fronte di un’ottima (l’ennesima) esperienza indie dalle spiccate qualità artistiche e visive, di sicuro potrete godervi Typoman: Revised, che per i suoi difetti ma anche per la sua stessa natura non è un gioco per tutti.
L’avventura del piccolo “Hero” è consigliabile ai videogiocatori più pazienti e dall’animo più “profondo” rispetto a chi cerca unicamente sparatorie e cazzotti. E, soprattutto, a chi mastica un minimo di inglese, poiché il gioco è disponibile solo in questa lingua. Come accade per queste produzioni, l’ottimo rapporto qualità-prezzo (con circa 15 euro potrete tranquillamente portarvi a casa questo Typoman) è direttamente proporzionale alla scarsa longevità, visto che il gioco è terminabile in una manciata di ore.
Typoman: Revised prova a imporsi in una finestra di mercato piena di “gemelli” che hanno ricevuto un consenso smisurato. In termini filosofici ci troviamo di fronte all’ennesima produzione dai toni romantici, che con l’assenza del sonoro e la forza delle immagini prova a raccontare una “non-storia” e a far provare al giocatore un profondo senso di introspezione. Purtroppo il titolo, e la conseguente fruibilità, risente tantissimo di un comparto tecnico a tratti disastroso, causa una giocabilità talmente legnosa da risultare frustrante. Un indie godibilissimo, a patto che siate molto pazienti.