Con l'uscita del quinto ed ultimo episodio arriva il momento di tirare le somme sulla terza stagione di The Walking Dead. Ed il risultato non è certo esaltante.
Nell’incredibile favola che è il successo di Game Of Thrones (serie letteraria e televisiva), della prima stagione di The Walking Dead o di The Last Of Us, grande merito ha avuto l’apparente menefreghismo con cui i rispettivi autori hanno disposto delle vite dei propri personaggi. Le ripetute decisioni di porre fine alle esistenze anche di quelli particolarmente amati hanno impresso a fuoco nella memoria dei fan prodotti che, in un modo o nell’altro, hanno profondamente segnato il medium di appartenenza. Non è però sufficiente uccidere per conferire alla propria creazione un alone drammatico. Convogliare emozioni ai giocatori è difatti il culmine di un processo che passa da ore di approfondimento e caratterizzazione dei personaggi, da migliaia di linee di dialogo coerenti e realistiche e da centinaia di pagine di sceneggiatura. Tutte cose che “A New Frontier” terza stagione delle avventure grafiche dedicate a The Walking Dead, non possiede. Purtroppo.
Abbiamo, nei mesi scorsi, già recensito i precedenti episodi (dal primo al quarto) di questa stagione dedicata all’universo creato da Robert Kirkman. Come si può evincere dalle recensioni, non siamo rimasti particolarmente colpiti dal lavoro svolto finora, finendo per augurarci con sempre meno speranza un finale di stagione capace di rimediare a tutti gli errori e alle mancanze che lo hanno preceduto, sollevando la serie da una mediocrità che ben poco ha a che fare con le precedenti due stagioni del gioco. Abbiamo deciso quindi, in corrispondenza con il rilascio dell’episodio finale di raccontarvi pregi e difetti di quel dramma familiare che permea tutte e cinque le uscite, mettendo nero su bianco ciò che davvero non funziona in questo questa produzione Telltale.
Sono nuovi i volti, le relazioni e le minacce nella tragica distesa di desolazione e morte che da sempre accompagna i racconti ambientati in questa location post-apocalittica. L’avanzata dei non morti, che hanno oramai preso il pieno possesso della Terra non ha conosciuto fine, mentre miseri rimasugli di civiltà ed umanità si sono rifugiati in precari nascondigli ed oasi sicure. Pochi fortunati hanno provato a riavvicinarsi a quella che magari prima ricordavano essere la normalità, con risultati alterni e spesso infestati di sangue e disperazione.
I più saggi, o stupidi, a seconda delle opinioni, sono rimasti in un perenne viaggio alla ricerca di scarsi rifornimenti. Tra di loro ci sono i protagonisti di quest’intima odissea, uno strano gruppo familiare, quello dei Garcia. Una famiglia (fratello, sorella, zio e matrigna) che ha conosciuto l’orrore del virus fin dai primi momenti della crisi, perdendo gran parte dei propri cari.
Coadiuvati dal ritorno del personaggio più amato delle precedenti stagioni saranno loro a condannarci ad una lunga serie di scelte e decisioni difficili che da sempre caratterizzano le produzioni Telltale. Sarà infatti proprio Clementine ad aiutarli a trainare buona parte degli episodi, pur mantenendo il suo ruolo prettamente complementare. Che si tratti di fan service o di una semplice mossa commerciale la sua presenza è il pregio più grande di una sceneggiatura che al contrario sbaglia quasi tutto… dall’inizio alla fine.
Fallisce per prima cosa nella gestione del ritmo (come avevamo segnalato nelle precedenti recensioni), consegnando al giocatore una narrazione che alterna lunghe e numerose sezioni riflessive a pochi momenti d’azione in cui il titolo preme veramente sull’acceleratore. Fallisce tessendo gli unici momenti di reale caratterizzazione dei personaggi in sparuti flashback che indagano come fossero i rapporti esistenti tra di loro prima dello scoppio dell’epidemia. Fallisce nel disegnare l’evoluzione degli stessi e gli effetti che molte delle decisioni da noi compiute nel corso del gioco hanno su chi ci circonda. A partire dai legami tra i quattro componenti della famiglia Garcia (Javi, Kate, Gabe, Mariana), che evolvono improvvisamente secondo strane logiche.
Volendo essere particolarmente esigenti e volgendo lo sguardo indietro verso le precedenti stagioni, manca totalmente lo stesso livello di cura nella costruzione dei rapporti che si ponevano in essere tra i protagonisti. Quello tra Lee e Clementine era una progressiva costruzione di fiducia ed affetto, il cui mutamento era percettibile in ogni momento grazie ad un’accurata scrittura di dialoghi e battute. A dominare “A New Frontier” è invece una montagna russa di emozioni che passano da una rabbia improvvisa ed esondante ad un perdono quasi immediato, che alternano infinità crudeltà a spinte di bontà samaritana. Il tutto perdendosi però per strada l’elemento più importante tra tutti: la coerenza.
E’ in quest’ottica che il finale di stagione delude ancora di più. La sua strutturazione e la buona riuscita della stessa, fortemente incentrata su particolari colpi di scena e sulla dipartita di importanti personaggi, avrebbe potuto aver senso solo in occasione di linee narrative fino ad allora ben indagate. Avrebbe potuto aver senso solo in occasione di personaggi ben costruiti e realistici. Tra i pochi titoli che hanno ridotto in lacrime chi scrive questa recensione c’è la prima stagione di The Walking Dead. Tra i pochi titoli che mi hanno lasciato indifferente di fronte alle ripetute morti di personaggi verso i quali avrei dovuto provare una minima traccia di empatia c’è questa terza stagione. Un dettaglio che riassume, purtroppo, il più grande difetto di tutta questa produzione.
Se la trama tenta di tirare avanti basandosi sui fasti del passato, lo stesso si può dire anche del gameplay, che non cambia di una virgola rispetto a tutte le altre produzioni targate Telltale. Un elemento che in può occasioni ci siamo ritrovati a criticare soprattutto alla luce delle sempre più serrate release della software house di San Rafael.
A maggior ragione, in occasione dell’ultimo episodio appare chiaro che in quanto a meccaniche di gioco il titolo non abbia niente in più da offrire che qualche sequenza di quick-time event. Elementi che hanno poi deciso di abbandonare una qualsiasi pretesa di complessità e profondità, come avevamo invece avuto occasione di intravedere all’interno della serie Telltale dedicata al Cavaliere Oscuro.
Poche apparizioni anche per quanto riguarda enigmi e puzzle ambientali, implementati con alti e bassi solamente negli episodi di mezzo della stagione ed evidentemente volti più ad un mero allungamento della longevità che ad essere una vera e propria feature del gioco.
Chiariamoci, non è necessario per un’avventura grafica svilupparsi approfonditamente anche dal punto di vista del gameplay, soprattutto visto che il focus principale di un esponente del genere è invece quello di portare sullo schermo una buona unità narrativa. Qualora però quest’ultima soffra dei problemi sopracitati, non sono accettabili ulteriori criticità anche nei rimanenti ambiti.
Non è stata una buona operazione questa terza stagione di The Walking Dead. Partita come un’ottima idea che doveva portare una boccata d’aria fresca inserendosi come uno spin off all'interno delle avventure di Clementine, alla fine il lavoro di Telltale Games ha deluso sotto ogni aspetto. Una trama banale, la mancata caratterizzazione di personaggi principali e cattivi, ed un gameplay che da troppi anni non tenta nemmeno più di rinnovarsi segnano un drastico passo indietro rispetto alle due precedenti stagioni. In quest’ottica, il messaggio lasciato dagli sviluppatori alla fine del gioco ("Il viaggio di Clementine continuerà") appare più come una presa in giro che come una buona notizia. Se gli occhi degli sviluppatori sono già puntati sul prossimo prodotto, che senso ha avuto questo episodio di passaggio?