Una storia cruda e realistica. Scoprite la verità sui misteri che nasconde Renée e l'ospedale psichiatrico...
La notizia più recente è l’arrivo di The Town of Light su Xbox One grazie al programma ID@Xbox. I giocatori della console Microsoft però dovranno attendere che il generico “2016” si trasformi in una data di uscita più concreta. Chi invece ha già un account Steam pronto per l’acquisto, non deve far altro che aspettare domani, 26 febbraio per il debutto su PC.
Dopo averlo giocato per il provato, ho portato a termine The Town of Light nella sua versione finale, che non si distingue molto da quanto già visto in fase preview. Per questo, il racconto delle vicende non si discosterà molto dall’articolo precedente. Anche a causa della durata davvero breve dell’avventura, sole due ore sono sufficienti per scoprire la storia di Renée. Per questo, parlarne nel dettaglio rischia di svelare fin troppo di un’esperienza che va vissuta tutta d’un fiato.
“Come ci si sente quando si perde tutto? Quando si viene strappati all’improvviso dal mondo? Con false promesse, per giunta. E quindi, a questo punto, com’è vivere rinchiusi in un ospedale psichiatrico? Quali gli effetti e quali i cambiamenti in una persona? The Town of Light ci sbatte in faccia, senza scrupoli o mezze misure, le risposte a queste domande facendocele vivere in prima persona. “
Queste sono le domande che inevitabilmente ci ronzeranno in testa una volta preso il controllo di Renée, la protagonista. Siamo immobili in una stanza, sentiamo delle urla strazianti che ci svegliano, siamo intontiti, non sappiamo cosa stia succedendo. Un breve flashback che subito ci fa capire com’era passare le giornate nel manicomio.
È il 2016, Sono passati gli anni, ci troviamo all’esterno, in un giardino fatiscente con altalene e scivoli ormai arrugginiti. Ci incamminiamo fino a ritrovarci di fronte allo stesso ingresso dove una volta Renée venne trascinata con forza al suo interno. È il manicomio di Volterra, i suoi ricordi iniziano ad affiorare.
Più di ogni altra cosa ricorda Charlotte, la sua bambola, dobbiamo ritrovarla. Il posto è in rovina, decadente ormai, la vernice è stata sostituita con dei graffiti che ampliano la sensazione di degrado. Esploriamo le stanze dove venivano eseguite le operazioni ai pazienti: tra lobotomie e disarticolazioni. Seppur abbandonate e con i macchinari ormai non più funzionanti, le illustrazioni che descrivono i passaggi di queste rendono ancora inquietanti quelle mura e non fanno che farci immaginare come venivano trattati i disturbi psichiatrici.
Trovata Charlotte, scopriamo come Renée vide la bambola come una figlia, coccolandola e accudendola. Pur trattandola nel miglior modo possibile, “la mamma” temeva che essa potesse farle del male.
Una volta tra le nostre braccia, la protagonista, teme che Charlotte si possa ammalare a causa del freddo. Prendiamo una sedia a rotelle e la portiamo alla sala chirurgia dove le luci, una volta usate per le operazioni, sono ancora in funzione, ottime per tenere al caldo Charlotte.
Ora è tempo di raggiungere il luogo dove tutto ebbe inizio, la sala osservazione. Entriamo, è qui che la faccenda inizia a farsi inquietante. Il lungo corridoio che ci troviamo davanti sembra non finire mai, le porte delle stanze a fianco si chiudono al nostro passaggio. Un viaggio tra le mura dell’inferno che l’hanno tenuta imprigionata attraverso la sua mente ormai distorta.
Con un flashback scopriamo che essa era stata portata qui a soli sedici anni, promettendogli che l’avrebbero aiutata a risolvere i suoi problemi. Il vero motivo per cui sia stata portata all’ospedale psichiatrico di Volterra, è un mistero. Per svelarlo dovremo leggere le perizie stese dagli psicologi del posto, in modo da scoprire cosa realmente accadde a Renée.
Andremo effettivamente a fare chiarezza sulla protagonista, sulla sua storia e sul manicomio, si rimane colpiti dalla crudezza delle vicende, rimanendo “realistiche” e “fattibili”.
Nel provato paragonai il gameplay a quello di Amnesia. È così per quanto riguarda l’esplorazione e l’interazione con l’ambientazione, eliminate dalla mente tutta la parte di sopravvivenza. The Town of Light si basa interamente sul seguire le parole di Renée, i suoi ricordi sono i nostri obiettivi. Il tutto è molto guidato, lineare. A volte fin troppo, il game design è stato studiato per cercare di allungare il più possibile il tempo di gioco, che altrimenti sarebbe stato ancora meno.
Con il proseguire delle vicende mi sarei aspetto un evoluzione del gameplay, tralasciando un minuscolo puzzle ambientale e un’idea interessante, questo non avviene.
The Town of Light è un’esperienza cruda, “reale” in quello che viene mostrato, forse è anche per questo che, una volta concluso, si rimane sì colpiti dalle vicende, ma anche con l’amaro in bocca. Amaro in bocca perché non diverrà un titolo indelebile nella nostra mente. Questo a causa anche di una durata irrisoria ed un gameplay fin troppo lento e semplice, che avrebbe sicuramente giovato se arricchito con maggiore inventiva.