Syndrome è un survival horror, sviluppato dal piccolo team portoghese Camel 101. Ecco che cosa ne pensiamo!
2013 e 2014 avevano segnato la parziale rinascita del genere survival-horror con declinazione in prima persona, all’inizio grazie all’incredibile successo raggiunto da Outlast, titolo indie sviluppato da Red Barrels e diventato in breve tempo fenomeno di costume su Youtube e poi con quel sorprendente Alien Isolation, capace di riportare in vita l’angosciosa atmosfera creata da Giger e Ridley Scott.
A contribuire maggiormente alla resurrezione di uno dei generi più amati dai videogiocatori è stato senza ombra di dubbio il panorama indipendente, capace di sfornare in pochi anni una lunga serie di interessantissimi titoli. Non sorprende quindi che Steam sia ormai sommerso da prodotti di tale fattura, spesso non troppo meritevoli di un acquisto o non particolarmente innovativi.
E’ questo il contesto in cui si va a collocare Syndrome, sviluppato da una piccola software house portoghese che si impegna a rendere felici tutti i fan del genere horror. Vediamo quindi insieme, in questa recensione, se le promesse vengono rispettate e se l’attesa produzione riesce ad imporsi sulla concorrenza. Un indizio? Il buio del titolo di Camel 101 non è poi così spaventoso.
Un risveglio dal sonno criogenico, una deserta navicella spaziale, mostri in attesa e poche fonti di illuminazione sono gli ingredienti principali scelti dagli sviluppatori. Non esattamente degli unicum in campo videoludico. Mentre avviamo il titolo una trasmissione dati ci introduce agli antefatti della storia, alla decisione di utilizzare un’astronave civile come mezzo di trasporto per una non meglio definita forma aliena.
Vi ricorda qualcosa? Bene, perché le somiglianze non finiscono qui. Dopo aver ripreso conoscenza ed ancora intorpiditi per gli effetti della criogenia, muoviamo i primi passi all’interno di corridoi e stanze illuminate da fioche luci ed imbrattate del sangue di quelli che probabilmente in precedenza erano i nostri compagni di viaggio.
Non sono inizialmente molti gli indizi che ci permettono di formulare qualche teoria su cosa sia veramente accaduto mentre noi venivamo cullati da Morfeo.
Possiamo infatti affidarci solamente a due trasmissioni radio, una con una misteriosa donna e la seconda con un ingegnere, che per lungo tempo ci farà da guida attraverso i meandri oscuri della nave spaziale e che, forse troppo profeticamente, ci rivela che la restante parte dell’equipaggio ancora in vita a quanto pare non è poi così incline a lasciar respirare gli altri sopravvissuti.
Inizia così una lunga lotta per la propria sopravvivenza, che per circa una decina di ore (che possono lievitare ancor più qualora ci si dedichi ad un’esplorazione approfondita degli ambienti), ci porterà ad avventurarci in ogni zona dell’astronave e ci permetterà di scoprire cosa realmente abbia dato inizio all’orrore a cui stiamo assistendo.
In effetti, la narrazione del titolo sviluppato da Camel 101 appare più che solida e riesce anche a regalare qualche inaspettato colpo di scena nonostante attinga a piene mani dal genere cui fa riferimento. Il buon lavoro svolto nella stesura della sceneggiatura e nella sua progressione rende infatti interessanti le vicende narrate e spinge con forza il giocatore verso il loro epilogo.
Purtroppo però Syndrome non riesce nonostante la longevità ad acquisire una propria identità e caratterizzazione, risultando costantemente un elaborato patchwork di idee e titoli preesistenti. Impossibile infatti non notare le forti influenze derivate dall’Alien Isolation di Creative Assembly, sia per quanto riguarda particolari elementi della storia che per la progettazione degli ambienti o da quel System Shock 2 che nel 1999 aveva appassionato e tenuto col fiato sospeso milioni di giocatori.
Pur rifacendosi a pilastri della storia videoludica, il lavoro degli sviluppatori però non convince appieno per quanto riguarda il design dei nemici e delle aree di gioco, che non riescono a sostenere la bontà di una storia abilmente scritta seppur non originale.
In particolare, nonostante in numerose fasi il titolo riesca a creare contesti ansiogeni, il disagio percepito dal giocatore scema inevitabilmente ad ogni incontro con le mostruosità che abitano la desolata navicella spaziale. Penalizzate da un design non molto accorto, da modelli poligonali approssimativi e da fattezze che ben poco si configurano con le esigenze della narrazione, gli avversari che ostacoleranno il nostro cammino sulla “Valkenburg” non si presentano come apparizioni particolarmente spaventose.
Backtracking. Ve n’è probabilmente più in questo singolo titolo che in tutti i primi capitoli dei Resident Evil sommati insieme. La buonissima longevità del gioco, superiore anche a molti esponenti tripla A si fonda in larghissima parte su questo espediente. Una decisione che però, oltre ad aumentare la lunghezza complessiva, moltiplica esponenzialmente anche la sensazione di ripetitività causata dall’attraversare le stesse zone per ore ed ore di fila.
L’obiettivo finale di rimettere in moto la nave spaziale e fuggire dall’incubo dà infatti vita ad una serie di mini incarichi che ci spingono ad avventurarci per gli otto ponti esistenti nella struttura, talvolta obbligandoci addirittura a ritornare più e più volte sui nostri passi per recuperare gli oggetti necessari alla progressione della storia.
E’ da questo punto di vista estremamente frustrante la fruizione del titolo, che alla lunga rischia di ridursi ad una monotona, per quanto corposa, routine. Tanto più che di momenti realmente emozionanti, di missioni capaci di ridefinire almeno in parte l’economia di gioco non ve n’è la minima traccia.
A ciò si vanno ad aggiungere delle meccaniche fortemente deficitarie, soprattutto per quanto riguarda il sistema di combattimento. Syndrome infatti applica un formula ibrida, differente rispetto a molti recenti esponenti del genere survival-horror.
Se da un lato infatti particolari tipi di mostri non possono, per larga parte della campagna, essere uccisi vista la mancanza dei mezzi necessari, è altresì vero che nel corso delle ore si avrà la possibilità di acquisire diversi tipi di armi, da una semplice chiave inglese, fino a cannoni portatili, passando per pistole e fucili a ripetizione.
E’ una decisione precisa degli sviluppatori, che può essere condivisa o meno a seconda di cosa ci si aspetti da un titolo del genere. Può non piacere se si fa riferimento alle forti limitazioni in materia introdotte da Amnesia ed Outlast oppure può sembrare consona se si è più inclini a caratteristiche simili presenti nei vari Resident Evil e System Shock.
Ciò che, però, rappresenta il maggior problema in questo ambito è il modo in cui la scelta del team di sviluppo è stata implementata all’interno del gioco.
I combattimenti “all’arma bianca” a cui saremo costretti vista la moderata scarsità di munizioni presente nel titolo (raramente ci è comunque capitato di trovarci a secco di colpi) e la generale impossibilità di approfittare di solide meccaniche stealth si riducono ad un semplice spam dei tasti del mouse (il sinistro per colpire, il destro per bloccare gli attacchi) che non restituisce né un feedback dei colpi né un’indicazione sui pattern d’attacco dei nemici.
Stesso discorso per gli scontri a fuoco, caratterizzati da un sistema di mira legnoso e da un’intelligenza artificiale ben al di sotto degli standard. IA che va inoltre ad inficiare fortemente numerose meccaniche presenti all’interno del titolo.
Seppure venga infatti data all’utenza la possibilità di affrontare il gioco con silenziosità e circospezione, avanzando acquattati e facendo uso delle tenebre e agli armadietti in cui è possibile nascondersi, le routine dei nemici e la macchinosità delle opzioni rendono molto più conveniente un approccio più coraggioso, approfittando degli strumenti a disposizione e della capacità di schivare senza troppa difficoltà i nemici.
Ciò che più stupisce riguardo il titolo di Camel 101 è l’ottima realizzazione grafica degli ambienti di gioco. Non stiamo parlando ovviamente di niente di spettacolare, specialmente nel panorama PC, ma si tratta nondimeno di un elemento di gran valore per una produzione indipendente. Peccato che un simile livello di cura non sia stato riposto anche nella pulizia del gioco, afflitto da numerosi bug e problemi tecnici.
La lista di ostacoli che abbiamo dovuto superare per portare a compimento l’avventura è, in tal senso, davvero lunga. Bisogna segnalare innanzitutto una problematica ottimizzazione per controller, che rende impossibile l’utilizzo del Dualshock 4 e che solo recentemente ha aggiunto la compatibilità con quello 360, pur non risolvendo numerosi problemi legati all’interfaccia e a freeze dei comandi in particolari situazioni.
Le patch correttive, rilasciate prontamente dagli sviluppatori nonostante vadano ad aggiungere importanti funzionalità come il supporto ai monitor 21:9 non hanno però posto definitivamente risoluzione ai ripetuti crash del titolo (che si sono fatti però molto meno numerosi), alle compenetrazioni in cui spesso e volentieri incappano i nemici e non hanno aggiunto opzioni basilari come la mappatura dei comandi su tastiera.
Bisogna segnalare inoltre, ma in questo caso la responsabilità è da imputare ai nuovi driver Nvidia, una fastidiosa e facilmente visibile presenza di fenomeni di stuttering.
Non è pertanto questo il momento giusto per approcciare Syndrome, alla luce delle enormi difficoltà che si dovrebbero affrontare per portare a termine l’esperienza. Non bastano infatti una generale bontà nella risoluzione delle texture ed un sistema di illuminazione che ben si adatta a mettere in risalto atmosfera e contesto ambientale a risollevare un comparto tecnico, generalmente poco ispirato.
Se a ciò aggiungiamo un doppiaggio poco incisivo anche in lingua originale (non è disponibile la localizzazione italiana) si possono immaginare i numerosi dubbi che possono frenare l’acquisto da parte di molti giocatori.
Narrativa solida e ben sviluppata
Longevità notevole per una produzione indipendente
Buona realizzazione delle texture e del sistema di illuminazione
Backtracking ai limiti dell'ossessivo
Molte ispirazioni e riferimenti ma ben poca originalità
Tanti, troppi problemi tecnici che affliggono il gioco
Syndrome non è un brutto gioco. Sarebbe riduttivo definire in modo così stringato un concept che, con le dovute accortezze, avrebbe potuto funzionare non solo in linea teorica ma anche all'atto pratico. Nonostante un comparto narrativo discreto che attinge a piene mani dai pilastri del genere survival e fantascientifico e che riesce ad accompagnarci senza grosse difficoltà fino alla fine, il titolo di Camel 101 non permette una fruizione fluida e piacevole. La generale ripetititivà delle missioni, unita ad una forte componente di backtracking ed a moltissimi, anche importanti, problemi tecnici, affossano il suo destino. Il problema principale è però la mancanza di una vera e propria essenza che caratterizzi il gioco e lo differenzi da tutte le altre astronavi maledette che affollano le pagine di Steam, rispetto alle quali, in fin dei conti, non ha poi molto in più da offrire.