Red Barrels ci regala un terrificante incubo ad occhi aperti.
Che il cinema e i videogiochi traggano spesso idee l’uno dall’altro è argomento noto a tutti, almeno quanto il fatto che alcune pellicole storiche abbiano contribuito alla creazione di veri e propri generi videoludici ex-novo. E’ il caso, ad esempio, di Resident Evil, capostipite dei Survival-Horror che attinge a piene mani dalla “mitologia” degli immortali capolavori dell’orrore di George Romero senza mai sfociare nel plagio ma con evidenti citazioni sparse in ogni ambiente del gioco. Il cinema horror, tuttavia, ha conosciuto, negli ultimi anni, un periodo di trasformazione abbastanza pesante con film come REC o Paranormal Activity che hanno dato il via a un autentico sottogenere, quello dei found-footage ovvero storie in cui la paura viene instillata nello spettatore più dalle atmosfere di tensione e di oscurità che dall’apparizione di mostri e simili. Inevitabile era, quindi, l’influenza di questo filone anche nel nostro media preferito con lo studio Red Barrels che si rende artefice di un titolo fortemente ispirato alle pellicole sopracitate e capace di terrorizzare il giocatore dal primo minuto fino al proprio epilogo. Non stiamo esagerando, Outlast è probabilmente uno dei giochi più terrificanti che abbiamo avuto la (s)fortuna di giocare. Ecco quindi, la nostra recensione del titolo, disponibile da qualche mese su PC e, da ora, anche su PS4, incluso nel programma PLUS.
Il preambolo alla base di Outlast è quanto di più semplice si possa immaginare. Vestiremo i panni di Miles Upshur, un giornalista d’assalto che, allertato da una soffiata anonima che denunciava orrori indicibili all’interno dell’ ex-manicomio abbandonato di Mount Massive, decide di recarsi sul posto armato solo della propria videocamera per documentare quali oscuri segreti si celino all’interno del mastodontico complesso. Pochi istanti dopo l’esserci introdotti all’interno della struttura, tuttavia, le cose prenderanno una piega decisamente inquietante quando il nostro protagonista entra in contatto con strane creature orribilmente sfigurate e deformi che attentano alla sua vita e si rende conto che quello che doveva essere lo scoop della sua carriera rischia di diventare anche l’ultimo. Non ci dilunghiamo oltre nel raccontarvi la trama messa in piedi dai ragazzi di Red Barrels ma possiamo dirvi tranquillamente che per quanto pecchi leggermente di originalità essa si comporti in modo egregio come pretesto per farvi esplorare ogni anfratto dell’agghiacciante manicomio armati solo della vostra fida videocamera in cerca di un modo per sopravvivere.
Quello che rende Outlast un titolo degno d’essere giocato e che lo fa spiccare almeno una spanna sopra la concorrenza sono sicuramente le idee registiche e di gameplay effettuate dal team di sviluppo. L’impostazione in prima persona fa sì che dietro ogni angolo, alla fine di ogni corridoio, nascosta nel buio, in attesa del nostro passaggio, si possa nascondere la nostra morte e il fatto di non poter contrastare in alcun modo i loschi figuri che, armati di corpi contundenti, cercheranno costantemente di farci la festa, ci costringerà a fuggire di continuo tra i corridoi del tetro Mount Massive Asylum approfittando di armadietti, porte e letti per nasconderci da una fine prematura. Il senso di oppressione e di claustrofobia è sempre altissimo per tutta la durata del gioco e un sapiente mix di script garantirà una buona dose di “jumpscares”. La necessità di utilizzare la modalità “Visione Notturna” della videocamera mentre avanzeremo nella totale oscurità di certi ambienti, inoltre, caratterizza fortemente il titolo facendogli assumere toni ancora più oscuri e inquietanti introducendo, allo stesso tempo, un nuovo elemento di gameplay ovvero il bisogno costante di batterie reperibili in giro per il manicomio che ci permetteranno di mantenerla sempre attiva e non perderci mai nei bui anfratti del macabro ospedale psichiatrico. Siamo franchi, il gameplay di Outlast si traduce, dopo un paio d’ore, in un reiterarsi delle stesse meccaniche che annoierebbero subito se la sceneggiatura e la regia non fossero praticamente perfetti e non mantenessero il ritmo e la tensione sempre altissimi.
Dal punto di vista tecnico, Outlast, si basa sul versatile e amato Unreal Engine 3 che anche in questo caso svolge il proprio lavoro in maniera abbastanza buona senza, però, far gridare al miracolo. La definizione anche su Ps4 è fissata a 1080p e i 60 frame al secondo sono granitici e stabili senza alcun tipo di incertezze. C’è da sottolineare come alcuni modelli e alcune textures siano lontani anni luce dal poter essere considerati “Next-Gen” ma, di certo, non si tratta di difetti che possano inficiare la godibilità del titolo. Discorso diverso per il comparto sonoro che, invece, è davvero degno di lode in quanto ogni suo elemento si sposa alla perfezione con l’atmosfera cupa e malata che trasmessa da ogni pixel del gioco con sospiri, schricchiolii, battiti cardiaci e urla che non fanno che aumentare l’immersione all’interno della brutta situazione che il nostro Miles si trova ad affrontare. Chiudiamo la disamina sull’aspetto tecnico del gioco dicendo che la longevità si attesta sulle 5/6 ore, un po’ poco se vogliamo dirla tutta, ma vi assicuriamo che bramerete i titoli di coda ad ogni passo che farete nelle profondità del Mount Massive Asylum.
Outlast non è un gioco per tutti. Fa paura, TANTA paura. Vi ritroverete più volte con un senso di oppressione addosso che vi spingerà a voler spegnere la console e questo non può che essere considerato un pregio della produzione Red Barrels che si configura come un vero e proprio baluardo del genere survival horror troppo spesso mescolato all'action in tempi recenti. Il titolo dei ragazzi canadesi, invece, vi rende impotenti davanti ad un orrore che sembra non lasciare scampo, un incubo ad occhi aperti che vi consigliamo caldamente di provare almeno una volta nella vita. Sempre se avete il fegato necessario a sostenere la tensione. E fidatevi quando vi diciamo che ve ne servirà in abbondanza.