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Recensione

Lightning Returns: Final Fantasy XIII – Recensione

Lightning torna per salvare Nova Chrysalia dal tredicesimo giorno.

Continua la Fabula Nova Crystallis iniziata da Square Enix nel 2010 con Final Fantasy XIII, il successo di questo ha visto l’ampliamento del progetto andando ad aggiungere Final Fantasy XIII-2 e Lightning Returns: Final Fantasy XIII. A legarli la mitologia di fondo, i cristalli e i suoi personaggi. Partendo dalle critiche del primo capitolo della trilogia, lo sviluppatore giapponese porta in conclusione le avventure di Lightning con un gioco a lei interamente dedicato. Una protagonista assoluta, un nuovo mondo, un gameplay riadattato e delle vite da salvare. Sarà una degna conclusione?

Il tempo va, passano le ore.

Sono passati 500 anni dagli eventi di Final Fantasy XIII-2, Lightning si risveglia a Nova Chrysalia, l’ultimo baluardo di speranza per l’umanità. Il Caos ha già inghiottito parte della regione ma restano ancora tredici giorni prima della fine del mondo. Qui entra in gioco la nostra protagonista dai capelli rosa, che viene ribattezzata la salvatrice, questo perché è suo compito sfruttare questi ultimi giorni per fermare il Caos e di conseguenza la fine della razza umana. Un patto con Dio, Bhunivelze, al raggiungimento del tredicesimo giorno esso si alzerà dal suo trono e porrà fine al mondo che conosciamo per crearne uno nuovo. E non può esistere civiltà senza una popolazione, per questo tocca a noi salvare più anime possibili. Un patto viene sigillato tra le due parti, Lightning e Bhunivelze, salva il mondo e ripopola quello nuovo. In cambio riavrà sua sorella, Serah. A questo punto vorrebbe reagire, ma spogliata dalle sue emozioni per non farsi distrarre da esse, non può che sottostare al suo Mastro Geppetto.

Scopriamo subito che la fine potrebbe arrivare prima del previsto, nostro compito è guadagnare giorni per arrivare all’irrimandabile tredicesimo. Per fare ciò dovremo aiutare gli abitanti di Nova Chrysalia che ci ricompenseranno con l’Eradia, linfa vitale dell’Yggdrasil. Un albero a cui dovremo donare il potere concessoci ogni giorno alle 6:00, orario prefissato per tornare all’Arca, hub principale dove Hope segue la nostra avventura e ci consiglia il da farsi.

battle e combat system

Parliamo quindi della meccanica base dell’intero gioco: il tempo. Esso è il nostro vero avversario, fuori dall’Arca il tempo scorre normalmente, avremo quindi ventiquattro ore di gioco da sfruttare per salvare il maggior numero di anime possibili. A noi la scelta di come sfruttarle, magari spendendole tutte in una lunga missione principale o in più missioni complementari. Non solo, dovremo porci dei veri e propri appuntamenti, ricordandoci l’ora precisa in cui incontrare un personaggio per iniziare la sua quest. Oppure i negozi, infatti alcuni di essi sono in attività solo di mattina o sera. Le stesse città hanno zone accessibili solo in un determinato orario. Tutto ciò, se alla prima sembra limitante per un gioco di ruolo, – dove ci si aspetta massima libertà dall’esplorazione – in realtà aggiunge al titolo personalità e coerenza con gli avvenimenti del mondo di gioco. Il tempo limite aggiunge un pizzico di scelta morale e di pepe, sapendo di avere sulle spalle una grossa responsabilità dobbiamo ponderare con cura le prossime mosse. Così come scegliere se è meglio avventurarsi di giorno o di notte, infatti i nemici variano in base a dove puntano le lancette dell’orologio. Per esempio, le Dune Arse è consigliabile esplorarle di notte, dove i mostri sono meno potenti.

Detto questo, è un peccato come la storia non sia narrata adeguatamente, anzi ogni missione principale sembra sia un racconto a parte, totalmente slegato dallo scopo della protagonista. La trama prosegue senza momenti esaltanti o memorabili che siano, come ci aveva abituato la serie. Il collage di situazioni e vecchi personaggi che si rincontrano servono solo per portare a termine i giorni che ci separano dalla conclusione del gioco. Se questo non bastasse, la protagonista è meno carismatica che in passato, la maledizione che gli impedisce di mostrare le emozioni – come se non ne fosse già priva – la rende ancora più un personaggio pedissequo.

Questione di costumi.

Lightning è la protagonista in assoluto anche nelle battaglie, per aiutarla Dio gli ha concesso dei vestiti speciali con abilità e attacchi diversi per ognuno. Questi, insieme a spade e scudi, sono la nostra unica risorsa per potenziare la salvatrice. La combinazione di questi si chiamano “assetti”, ne abbiamo a disposizione tre, da cambiare a piacimento durante la battaglia. Possiamo preparare gli assetti come più desideriamo, magari tenendo a mente le debolezze dei nemici a venire. Quasi come se fossero delle classi, devono essere composti da un completo – vanno acquistati o sbloccati durante il corso del gioco, non solo hanno una funzione estetica ma variano le nostre statistiche – da un’arma – che influenza la potenza magica o fisica – e lo scudo che determina punti vita e difesa.

Ligtning Returns kyactus

Il combat system e il sistema di assetti funzionano egregiamente, sono il punto forte del titolo. Cercare di creare la miglior classe possibile, trovare e combinare gli equipaggiamenti diventa assuefacente. Peraltro è inutile crearne senza logica, dovremo tenere a mente chi andremo a combattere da lì a poco. Per esempio i Budini sono resistenti agli attacchi fisici, per questo è consigliabile avere un mago per indurli immediatamente allo stato critico. La crisi è una meccanica fondamentale, nonché il nostro obiettivo durante uno scontro. Sfruttando attacchi a cui l’avversario è debole compare un’onda sulla sua barra della vita, continuando ad infierire si ingrandirà fino a quando il nemico non entra in “Stato di Crisi”. A questo punto diventerà inerme e potremo infliggergli danni extra. È importante cambiare assetto durante le battaglie, per concatenare gli attacchi e lasciare che la barra azione si ricarichi. Il tutto ha intrapreso l’ormai retta via del gioco d’azione puro – è presente anche la parata attiva, da usare con tempismo per non subire danni – ma funziona sicuramente meglio rispetto agli ibridi senza profondità tentati nei capitoli precedenti, è gratificante e divertente. Peccato per l’assenza dei livelli o di un albero delle abilità, l’aumento delle nostre statistiche è relegato al completamento delle missioni. Principali o secondarie che siano, una volta esaudita la richiesta veniamo premiati con punti vita aggiuntivi, maggiore potenza d’attacco e via dicendo. Questo smorza la soddisfazione derivata dal tipico “level up”, al completamento di banali obiettivi il nostro personaggio si potenzia fin troppo facilmente. Inoltre, in questo modo viene tolta importanza ai combattimenti, praticamente secondari. La lamentela più grande che vogliamo muovere è proprio derivata dai compiti che ci vengono assegnati, quasi da MMO, consistono nella grande maggioranza nel recuperare oggetti sparsi per il mondo di gioco o dai nemici caduti. Prive di mordente o di qualsivoglia enfasi.

Gira che ti rigira.

Una delle critiche che più ha fatto discutere dei precedenti Final Fantasy XIII era l’estrema linearità delle ambientazioni di gioco, da molti definite corridoi che portavano direttamente al finale. In questo caso Square Enix ha accolto le lamentele e ovviato al problema. Le regioni presenti sono vaste, alcune immense da girare in lungo e in largo alla scoperta di segreti e missioni. Peccato che, oltre ad un numero risicato di ambientazioni che ci costringe a visitarle svariate volte, queste non siano memorabili. Gli scorci mozzafiato si contano su un paio di dita. Tecnicamente troviamo degli alti e bassi, se Lightning e i suoi costumi sono ben realizzati, le texture e i modelli che compongono il mondo di gioco sono di bassa qualità. Inoltre non è rara la collisione tra i personaggi di contorno e il nostro interlocutore, generando ilari siparietti conditi da una telecamera che non riesce a gestire la situazione. Lo stesso accade nelle battaglie, seppur raramente, la nostra protagonista risulta fuori scena, insieme ai nemici che qualche volta si allontanano eccessivamente dal campo di battaglia. Da sempre marchio di fabbrica delle serie, sono gli indimenticabili filmati in Computer Grafica, qui – tralasciando il filmato introduttivo – non ne è traccia. La maggioranza delle sequenze sono in-game, a causa dei costumi e degli accessori che variano l’estetica della protagonista. I nemici sono in buona parte riciclati dal primo episodio, mancano di varietà e scarseggiano numericamente, limitandosi a variare la specie cambiandone colore e resistenze. Buona la colonna sonora che varia in base alla situazione e all’ambientazione, ritorna l’ottimo tema principale della serie. Se non fosse per la fredda e rigida Lightning, il doppiaggio inglese rimane di buona fattura.

I pro

  • Il Combat System e gli assetti…
  • Finalmente ambientazioni vaste da esplorare…
  • L’influenza del tempo sul mondo di gioco

I Contro

  • …ma ormai di RPG non è rimasto nulla
  • …ma sono poche
  • Trama poco interessante e mancano colpi di scena
  • Non eccelle in nessun comparto
  • La protagonista è meno carismatica che mai

Voto Globale 7

La conclusione della trilogia avviene con un capitolo mediocre, Lightning Returns: Final Fantasy XIII si aggiudica la sufficienza grazie all’ottimo combat system. L’intero lavoro è soggetto di alti e bassi. Le ambientazioni sono grandi e non più corridoi, ma sono poche e saremo costretti a visitarle ripetutamente, rischiando la monotonia. Se la trama sembra lo spiraglio per interessanti rivelazioni, il tutto si spreca in missioni principali con una storia a sé stante, privi di mordente e colpi di scena. A dare un po’ di pepe al tutto ci pensa il tempo, che riesce a dare personalità al gioco ed influisce sull’intero mondo. Le battaglie sono divertenti, con un pizzico di strategia dovuta dagli assetti e in particolar modo dai costumi.   

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