Il nuovo titolo di Suda51 avrà soddisfatto le aspettative? Scopriamolo assieme.
Il mio primo (e purtroppo unico) contatto con Grasshopper Manufacture e quel folle di Suda51 fu a dir poco fantastico; durante la scorsa generazione giocai a Shadows of the Damned, uno dei titoli che personalmente considero tutt’ora uno dei TPS a tema horror più interessanti, spassosi e carismatici degli anni 2000. Fu un’esperienza unica, che mi fece scoprire di cosa potesse essere capace una mente come questa e di come possa essere un grande mezzo sperimentativo qualcosa come il videogioco, un vero e proprio colpo di fulmine che mi stupì tantissimo.
Oggi, nel 2016, sono a contatto con l’ultima opera di questa casa videoludica, Let it Die, preparandomi ancora una volta a saggiare la qualità di questo particolarissimo free-to-play, che vuole sfidare i canoni classici di un genere come i dungeon crawlers – altrimenti conosciuti nella loro forma attuale dei “souls-like” – e offrire un gioco fresco, nuovo e con il timbro onnipresente di Suda. Ci sarà riuscito? Addentriamoci nei meandri di questa produzione.
Il nuovo gioco di casa Grasshopper Manufacture può essere inizialmente identificato come una copia dei titoli di From Software o affini, ma sin da subito possiamo notare delle sostanziali differenze: innanzitutto, cosa assolutamente da non sottovalutare, la presentazione di Let it Die si distacca completamente dai contesti seriosi che girano attorno a questi giochi, in quanto nel titolo permane in maniera fortissima la grande ironia grottesca, surreale, malsana ed eccessiva di Suda51, elemento molto interessante in quanto ci getta sin da subito e senza alcun preambolo nel contesto fantascientifico del gioco, in bilico tra lo steampunk e l’horror, creando un comparto artistico molto ispirato. A colpire ulteriormente è anche l’ottimo character design, tra cui il fantastico personaggio che ci introduce al gioco, ovvero Zio Morte, emblema e punto di riferimento nel nostro percorso.
E’ piuttosto palese come questo titolo sia una produzione indirizzata ai giocatori più hardcore ed appassionati, non solo in termini di gameplay ma proprio nel modo di porsi al videogiocatore: questa è un’opera profondamente metacomunicativa, i personaggi spesso parleranno direttamente a noi, prendendosi gioco di qualunque schema prestabilito, con un’introduzione ai limiti del surreale e una serie di situazioni decisamente spiazzanti. Il videogioco stesso ci parla, interagisce con noi, rendendo quindi ancora più evidente l’animo delirante e unico di questo team di sviluppo, che senza dubbio è riuscito ad imprimere una sua importante forma stilistica nel mondo videoludico odierno. Il gameplay, sfortunatamente, non regge minimamente il carisma visivo e di caratterizzazione che permea la produzione.
Passiamo al gameplay, elemento più critico dell’intera produzione e che ha messo a dura prova la mia pazienza, per via di una realizzazione assolutamente non impeccabile, al di là di alcune idee interessanti; come detto, ci troveremo davanti ad un dungeon-crawler, che quindi si basa interamente sulla costruzione e sullo sviluppo del proprio personaggio di partenza, potenziandolo a proprio piacimento a seconda del nostro stile di gioco. In questo caso, potremo avere molteplici personaggi a disposizione, selezionabili attraverso dei modelli predefiniti di sesso maschile e femminile. Partiremo quasi completamente nudi e gli unici vestiti che potremo avere saranno acquisibili durante i combattimenti o acquistandoli dal mercante locale. Intraprenderemo il nostro percorso da una base centrale, dove potremo gestire il personaggio o addentrarci nei dungeon. Qui possiamo identificare il primo passo falso, dettato dall‘impossibilità di personalizzare a piacimento il nostro alter-ego da un punto di vista fisico; non si tratta di una mancanza gravissima, ma avrebbe comunque dato senz’altro più identità agli eroi degli utenti.
Quando decideremo di andare a combattere, verremo messi davanti ad un combat system molto particolare ed inusuale. Questo perché avremo a disposizione tre slot disponibili per mano, utilizzabili a mani nude o riempibili con armi corpo a corpo o da fuoco trovati sul campo. Su questo si baserà la scelta tattica di cosa equipaggiare e dove, tenendo conto delle statistiche delle varie armi, che avranno un sistema di usura che le deteriorerà ad ogni utilizzo, rendendo importante un calcolo certosino delle nostre mosse. Questa cosa si estende anche al combattimento stesso, in quanto i movimenti saranno lenti e pesanti e ci si dovrà basare sul tempismo per riuscire ad avere la meglio in battaglia, inoltre bisognerà calcolare la nostra stamina, che si abbasserà ogni qualvolta che faremo sforzi fisici come corsa, salti o attacchi. Nonostante i buoni propositi, l’esecuzione di questo impianto di gameplay risulta essere quasi disastrosa: il feeling con il personaggio è estremamente macchinoso e avere a che fare anche solo con due nemici potrebbe essere elemento di forte frustrazione, a causa di un sistema di movimento troppo legnoso e una cattiva gestione della profondità del combattimento, unita ad un lock-on poco preciso e confusionario che elimina qualunque fascino a questo determinato stile di gioco.
Ciò che maggiormente sorprende, di solito, in un titolo di questo genere, è la struttura che hanno le missioni e i dungeon che si vanno ad affrontare, spesso colmi di vicoli e stradine da intraprendere per scoprire segreti e incentivare la rigiocabilità. Anche qui arrivano i problemi, perché il design che dà forma a queste zone di gioco è spesso prevedibile, poco propenso a strade secondarie o a componenti esplorative, per via di una linearità troppo elementare e una forte mancanza di creatività nel rendere tutti i dungeon variegati. Ciò non fa altro che rendere l’esperienza molto ripetitiva e poco stimolante. Nulla di nuovo nemmeno per quanto riguarda la gestione del personaggio, in quanto potremo farlo salire di livello usando i nostri punti esperienza o acquistando dal mercante armature o armi nuove con i soldi guadagnati, raccogliere ricompense periodiche tipiche del free-to-play o conservare oggetti e consumabili nel nostro inventario da poter utilizzare più in avanti. Nonostante ciò, sono comunque presenti grosse problematiche nel sistema di progressione che risulta essere fin troppo lento e punitivo per il giocatore, che anche a diverse ore di gioco potrebbe non veder crescere di alcuna statistica il proprio alter ego. Concludo con una menzione riguardante anche il sistema di comandi; questo risulta essere scomodo, in quanto i tasti assegnati alle varie azioni – oltre a non essere in alcun modo intuitivi – non possono essere modificati, dando vita a situazioni equivoche in cui non sarà raro svolgere un’azione non voluta rispetto ad un’altra, elemento molto estraniante in un gioco in cui la tattica e la consapevolezza del personaggio dovrebbero essere la colonna portante. Tanti, troppi problemi che non possono assolutamente essere trascurati.
Se da una parte abbiamo una componente ludica devastata da problemi e corposi difetti, da un punto di vista grafico le cose vanno leggermente meglio. Sia chiaro, nulla di trascendentale o strabiliante, ma per lo meno siamo davanti ad un reparto tecnico abbastanza buono. Ad esempio il gioco è piuttosto fluido, senza cali di framerate grazie anche ad un motore di gioco molto leggero ma gradevole alla vista, in cui i dettagli sono piuttosto ben curati senza grosse sbavature e un’effettistica interessante, data soprattutto dallo stile marcatamente cel-shading del gioco che dona al tutto una palette visiva caratterizzata da un’unione tra contesti sporchi e crudi ed un look cartoonesco. Anche le animazioni sono ben gestite,sia per quanto riguarda il nostro personaggio che per quanto concerne le creature del gioco, ognuna con movimenti differenti e peculiari che caratterizzano bene il character design. Anche l’illuminazione è ben bilanciata, vista la presenza di un buon contrasto tra luci e ombre. Di buona fattura anche il sonoro, non solo per i rumori d’ambiente e gli effetti delle varie ambientazioni, molto efficaci ed identificabili, ma anche grazie a un ottimo doppiaggio in inglese (con sottotitoli in italiano) e una colonna sonora estremamente eclettica, che unisce sonorità electro/dubstep nelle fasi più concitate ad una più cauta musica d’ambiente nei momenti più tranquilli, creando un mix molto equilibrato e che stranamente non sacrifica né l’una né l’altra componente. Detto ciò, quello che ci ritroviamo davanti è un gioco fin troppo problematico, che presenta delle componenti ben concepite ma mal sviluppate e che creano un costante senso di incompletezza e di frustrazione. Considerato questo, starà a voi comprendere se la formula free-to-play potrà farvi dimenticare in parte queste mancanze, ma il mio consiglio è di andarci molto cauti.
L'ultima creatura di Suda51 è deludente sotto quasi ogni punto di vista. Un titolo con idee forti alla base, potenzialmente capaci di ribaltare i canoni di un genere che vengono però mandati all'aria a causa di un'esecuzione infelice e una spiacevole sensazione di incompletezza, sicuramente dovuta ad un calderone troppo grande di elementi interessanti, ma sviluppati poco e spesso con risultati scadenti.