Dopo essere sopravvissuti, ecco il nostro verdetto sul nuovo capolavoro di Playdead
Finalmente i ragazzi di Playdead sono tornati. Era il 2010 quando questo talentuoso team di sviluppo ci deliziò con l’ottimo Limbo, capace di creare una vera e propria avanguardia nel settore dei puzzle game a scorrimento orizzontale.
Inside è un videogioco che si è fatto attendere a lungo – parliamo di diversi anni -, visto che se ne parlava fin da subito dopo l’uscita di Limbo ed era conosciuto come “Project 2” ed è rimbalzato da un E3 all’altro.
Inside è stato sviluppato per PC e Xbox One, ma non è detto che in futuro non possa arrivare anche su Playstation 4 o altre piattaforme, visto che il successo riscosso a suo tempo da Limbo lo portò su svariate console. È arrivato dunque il momento di dirvi la nostra su Inside: ancora una volta, la creatura di Playdead è un piccolo capolavoro.
Esattamente come il predecessore, Inside ci catapulta nel suo mondo oscuro e claustrofobico. Anche stavolta impersoniamo un ragazzino, che spunta dai cespugli non appena avviamo il gioco. Correndo tra gli alberi di una cupa foresta, ci accorgiamo immediatamente di essere braccati da un misterioso gruppo di uomini.
Neanche il tempo di prendere familiarità con i comandi che già stiamo scappando, inseguiti da individui in nero senza volto e da terrificanti e feroci segugi. D’altronde è lo spirito di Inside – e di Limbo – quello cioè di gettarci con violenza e crudezza nel mondo di gioco senza alcuna spiegazione.
Non c’è narrazione, se non suoni e immagini in uno sfondo che è in continuo movimento con noi, in orizzontale e in visuale 2D. La storia viene raccontata in questo modo, lasciando che siano le immagini a raccontare qualcosa che, dall’inizio alla fine, è un susseguirsi di emozioni, timori e ansie. Ovviamente non intendo svelare nulla che possa rovinarvi una trama talmente particolare da lasciare spazio a molteplici interpretazioni. Non ci sono dialoghi né narratori, la storia che stiamo andando a vivere si presenta così com’è, nuda e semplice.
Un horror che, in alcuni frangenti, si concede persino di essere splatter, ma che nella sua essenza vuole essere psicologico. Il senso di distopia, quasi di disturbo, la sensazione opprimente e claustrofobica che prova il ragazzino nei confronti del mondo che lo bracca è ben resa dal sapiente utilizzo dei colori. Limbo era un videogioco completamente in bianco e nero.
Qui, invece, Playdead gioca su un eccezionale alternarsi di colori freddi, prevalentemente il nero, il blu molto scuro e il grigio, che si alternano in un gioco di luci e ombre che rende Inside una perla artistica, una vera e propria contaminazione tra videogioco e arte pura. L’unica eccezione, a livello cromatico, e tra l’altro unico elemento di spicco, è il vestiario del protagonista, che veste con una t-shirt rossa – unico colore caldo di tutto il gioco -, pur essendo estremamente smorzato e poco acceso.
Il protagonista non si distingue solo perché è sgargiante. Sin dai primi minuti di gioco capiamo di star impersonando un essere fuori dal comune per quel mondo, qualcuno che ha qualcosa in più rispetto agli automi e ai fantocci che incontriamo nel corso dell’avventura.
È questo, probabilmente, il motivo per cui chi ci insegue desidera così ardentemente catturarci, al punto da non curarsi della nostra vita o della nostra morte, sguinzagliandoci contro cani feroci, sparandoci colpi d’arma da fuoco o addirittura bombardandoci. Noi, il giocatore, abbiamo quel qualcosa in più che ostacola i piani di altri, e in questo Inside gioca anche a livello psicologico con l’utente. Siamo speciali, per cui dobbiamo scappare e sopravvivere a ogni costo.
Il gameplay di Inside è quanto di più semplice possa esistere. Sono tre i comandi principali: movimento, salto e azione. Non sempre i movimenti del protagonista saranno veloci e scattanti, molto spesso ci sarà qualche impedimento – una pozza d’acqua o una ferita – che vi rallenteranno, ma niente di tutto ciò renderà la vostra avventura noiosa, anzi. Ogni singolo elemento su schermo è un tassello fondamentale affinché vi sia chiaro ogni spunto narrativo, ma anche un fattore chiave per andare avanti. Giocare a Inside significa tenere costantemente l’occhio vigile, scovando qualche dettaglio che possa esservi utile a completare un puzzle.
In questo senso il sonoro acquista un’importanza notevole. Non solo per la già citata narrazione (piccoli esempi: uno scricchiolio può servire unicamente a farvi sobbalzare, ma i latrati dei cani vi avvertiranno del pericolo, così come i sospiri del protagonista vi trasmetteranno non poca ansia) ma anche nella soluzione degli enigmi, mai eccessivamente difficili o frustranti e stuzzicanti per chi vuole mettere alla prova l’ingegno. Se vi avviate alla conclusione di un puzzle o vi trovate nel suo punto chiave, infatti, la musica di sottofondo tenderà a cambiare.
Durante il gioco vi troverete di fronte innumerevoli spunti di interazione che vi aiuteranno – anzi, saranno proprio fondamentali – nel completare gli enigmi. Ci sono, ad esempio, dei fantocci che saremo in grado di controllare con un meccanismo mentale, utili a raggiungere alcuni punti ai quali altrimenti non potremmo arrivare. Questo e tanto altro – non voglio anticiparvi più nulla, per non rovinarvi la sorpresa e, in alcuni casi, l’ansia, in un gameplay tanto semplice quanto efficace e divertente.
Come il suo predecessore, Inside è un’esperienza mistica. Si potrebbe annoverare tra i suoi difetti l’essere un’avventura poco longeva – vi saranno sufficienti una manciata di ore per completarlo -, il livello di sfida d’altronde non è esagerato e inoltre è poco rigiocabile. D’altronde è questo che vuole essere Inside, un “mordi e fuggi”, breve ma intenso, qualcosa di passeggero che però, nella sua fugacità, riesce fare breccia nel cuore dei giocatori. Nei confronti dell’Olimpo videoludico Inside si presenta esattamente come il suo protagonista: piccolo, diverso, arguto e con qualcosa in più rispetto agli altri.
Il ritorno di Playdead non poteva che essere un altro mini-capolavoro. Inside continua sulla scia di Limbo e regala una manciata di ore di altissimo livello: uno stile artistico che lascia che siano le immagini e i suoni a raccontare una storia dai toni cupi e distopici e un gameplay tanto semplice quanto efficace, il tutto contornato da puzzle stuzzicanti, rendono Inside un titolo da “vivere”, ancora prima che da giocare. Qualche ora di gioco in più e qualche elemento di rigiocabilità avrebbero gonfiato il giudizio finale verso la perfezione, ma in fondo è la sua essenza da “mordi e fuggi” a rendere Inside tanto emozionante.