L'opera prima di Fiddlesticks convince, non senza qualche incertezza.
Hue è uno di quei titoli di cui difficilmente si sente parlare nel circuito videoludico più esteso; si tratta di un titolo di natura fortemente indipendente, nonché l’opera prima di casa Fiddlesticks, che decide di puntare su qualcosa di inusuale ed originale per debuttare nel mercato, nel tentativo di offrire un’esperienza nuova e fresca.
Mi sono quindi approcciato a fari spenti nei confronti di questo titolo, e con la curiosità di scoprire che carte avesse da giocarsi, lasciandomi sorprendere. Ci sarà riuscito? Scopriamolo assieme.
La nostra storia ha inizio proprio con Hue, il protagonista del gioco, che a causa di un disastro causato inavvertitamente dalla madre in seguito ad una scoperta all’interno del mondo colorato in cui vivono, si ritroverà sommerso e intrappolato in un ambiente cupo e monocromatico, a cui dovrà ridare vita cercando e trovando tutti i colori sparsi, al fine di riassemblare l’anello dei colori da lei creato, per riportare il caos alla normalità.
La storia, che ci verrà narrata nel corso dell’avventura attraverso lettere della madre di Hue sparse per il gioco, ha una narrazione legata a doppio nodo con questi messaggi, in quanto ci aiuteranno poco a poco a scoprire le motivazioni e le vicende che hanno portato a questo infausto evento.
Questo porta ad uno sviluppo non sempre convincente, perché nonostante l’intera trama abbia risvolti estremamente metaforici e legati all’ambientazione, andando a toccare temi come la visione della realtà, l’importanza delle sfumature che danno, per l’appunto, colore alla vita e la necessità di abbandonare talvolta gli schemi logici della quotidianità per risolvere i nostri problemi – tematica decisamente legata anche al gameplay del gioco – non si può fare a meno di notare come ciò porti a non osservare nessun evento importante nel gioco in termini narrativi, facendo quasi passare la trama in secondo piano, dimenticandoci della sua importanza e relegando tutto alle sole lettere che fanno da raccordi.
Interessante, ma non sempre incisivo come dovrebbe, peccato.
Alla base, Hue è un platform in 2D abbastanza classico e che ad una prima impressione non aggiunge nulla di nuovo al suo genere di appartenenza. È proprio qui che il gioco comincia a giocarsi le sue carte migliori, rendendosi accattivante ed interessante; oltre ad alcune fasi di puro platforming al cardiopalma, il titolo si forgia su un concept fondamentale, tanto semplice quanto inusuale e intrigante, ovvero l’interazione tra ambientazione e colori, il fulcro principale dell’esperienza di casa Fiddlesticks.
Infatti, durante il corso del gioco dovremo recuperare i colori mancanti nel nostro anello, che poco a poco si andrà a completare con l’incedere della progressione e grazie a questi avremo la possibilità di cambiare colorazione allo sfondo degli ambienti, permettendoci di risaltare o nascondere oggetti, attivare o disattivare meccanismi e via discorrendo.
Quest’unione apparentemente basilare di elementi, risulta in realtà essere estremamente più complessa di ciò che si pensi, dando vita ad un vero e proprio puzzle game con un livello di sfida decisamente interessante, che aumenterà gradualmente nel corso della storia e che ci vedrà davanti ad enigmi ambientali sempre più complessi da risolvere.
Questa impalcatura di gioco, però, non sarebbe possibile senza un ottimo level design – minato solo da un’eccessiva suddivisione in stanze per gli enigmi, un po’ forzata e che spezza la fluidità nel level design – che non solo colpisce per la sua cura nei dettagli, ma ci ricorda quanto sia importante studiare in maniera certosina le ambientazioni, soprattutto se parte integrante del gameplay, che qui diventano un fattore fondamentale per la giocabilità in generale e donano ai singoli puzzle una complessità capace di far pensare per diversi minuti il giocatore, che deve muoversi senza fare errori.
Proprio in questo elemento si cela quello che, probabilmente, è il difetto più grosso della produzione, che contribuisce in parte a spezzare il senso di fluidità e di coinvolgimento nel gioco: la struttura trial-and-error. Qui è presente più che mai e nonostante nelle prime ore di gioco ciò non si faccia sentire particolarmente, con l’aumento della difficoltà sorgono i primi problemi; per quanto i puzzle debbano essere sempre risolti nella loro interezza, diventa però frustrante dover ricominciare più e più volte un intero enigma da capo a causa di un banale errore o una morte accidentale, sarebbe quindi stato più opportuno inserire qualche checkpoint intermedio tra inizio e fine, per non far pesare troppo queste meccaniche al giocatore e non rendere l’esperienza sofferta o snervante.
Altra chicca interessante da sottolineare è la possibilità di attivare una modalità per daltonici, che permetterà anche ai giocatori aventi problemi nella distinzione cromatica di giocare con la giusta fruibilità, affiggendo ai colori dei segni distintivi atti a distinguerli e agevolare il giocatore in fase di gameplay.
Lo stile artistico fa il suo lavoro più che egregiamente, capitalizzando molto bene sul concetto di semplicità e mostrandoci strutture disegnate e delineate con linee e composizioni essenziali ma mai banali, dando così un design e una personalità artistica molto particolare al gioco, che risalta non solo nell’ottimo level design che abbiamo già citato, ma in un utilizzo suggestivo degli ambienti e del contrasto cromatico.
Abbiamo quindi una triplice importanza del colore nel gioco, che contribuisce a rendere unico un titolo così piccolo e sconosciuto. Ad impreziosire il tutto delle animazioni semplici ma fluide e ben definite, per finire con dei buoni effetti visivi che risaltano in un insieme già ben riuscito.
Infine, anche il sonoro è di buona fattura, con rumori d’ambiente senza sbavature e, anche qui, essenziali nella loro realizzazione; l’unico elemento realmente elaborato e di spicco del comparto tecnico è tutto dedicato alla colonna sonora, composta di melodie calme e riflessive, quasi un’estensione musicale dell’ambiente circostante scandita da un pianoforte onnipresente nella composizione, capace di offrire e amplificare uno scenario quasi onirico, distante dalla realtà per il giocatore.
La prima opera di Fiddlesticks è un lavoro di grande talento, ma che risulta ancora piuttosto grezzo in alcuni suoi componenti. Il concept di base del gioco è interessante e ben sviluppato, con soluzioni di gioco interessanti e una linea di apprendimento molto graduale che accompagnano il giocatore, stroncandosi però su una trama non sempre entusiasmante e un sistema trial-and-error a tratti decisamente fastidioso.