Abbiamo passato un bel po' di tempo in compagnia di Frostpunk, la nuova produzione del team indipendente 11 Bit Studios, conosciuto per il suo "straziante" This War of Mine.
Frostpunk segna indubbiamente la maturità artistica della software house, che dimostra grande capacità di adattare le proprie ispirazioni narrative ad un comparto di gioco molto più solido del predecessore – solo cronologico, non avendo nulla a che fare in termini di storia e di gameplay – e finalmente completo.
Il giocatore è chiamato a gestire una colonia di sopravvissuti ad un’improvvisa quanto letale era glaciale, nel bel mezzo di una sorta di rivoluzione industriale steampunk. Siamo quindi in un passato prossimo alternativo, contraddistinto dalle fortissime tematiche solite al genere, compresa la classica provenienza dei nostri cittadini: Londra.
Centro focale dell’esperienza sia narrativa che di gioco è il gigantesco reattore a carbone, dal quale viene irradiato calore che serve a mantenere in condizioni vivibili le zone circostanti. L’intera mappa di costruzione si snoda in maniera circolare, attraverso una rivisitazione dei più classici city builder. Frostpunk è a tutti gli effetti un city builder, a cui si accodano determinati eventi casuali, influenti su vari aspetti della gestione cittadina e, più in generale, del nostro stile di gioco.
Principalmente il giocatore deve focalizzarsi sull’accumulo di risorse (carbone, legna, metallo, cibo, razioni e i più rari steam core, necessari per le strutture avanzate) e sul mantenimento accettabile dei livelli umorali dei coloni. Questi ultimi livelli si dividono in “speranza” e “malcontento”, a cui si aggiunge in un particolare livello il numero di “londoneers” ossia di persone esasperate che spingono per tornare a Londra, e causare il game over. Il bilanciamento tra il procacciamento delle risorse e il mantenimento della speranza è il nocciolo essenziale attraverso il quale riuscire a vincere la partita. A discapito delle apparenze questo bilanciamento non è mai banale, tanto che già a livello normale risulta molto difficile riuscire a tenere bada ai propri concittadini senza generare una escalation risolutiva.
Sebbene le regole di gameplay seguano pattern piuttosto conosciuti, il mix di tutte le diverse esigenze, che vanno dal costruire alloggi per tutti, riuscire a riscaldare zone via via sempre più grandi, non andare a corto di risorse e magari completare i diversi obiettivi proposti dalla mappa di turno, risulta di grande complessità. A complicare ulteriormente le cose bisogna segnalare il ciclo giorno notte, che costringe a disporre in maniera saggia della propria forza lavoro e il clima dinamico, il quale si manifesta in variazioni di temperatura, a volte favorevoli a volte molto più sfavorevoli. In soldoni, quando le temperature scendono ulteriormente l’equilibrio precario di lavoro e risorse che magari si era riusciti a mantenere rischia di crollare, costringendo a misure d’urgenza ed a scelte repentine.
Sotto il fronte delle scelte il gioco propone, oltre al classico albero di ricerca, che tocca esclusivamente le diverse e più produttive strutture costruibili, anche una serie di leggi emanabili ogni tot minuti. Queste ultime portano sempre vantaggi e svantaggi, oltre che una certa ambiguità morale di fondo, a seconda che si voglia seguire uno stile più machiavellico o uno più sensibile alle esigenze morali della città (ma magari meno produttivo). Tra gli esempi la scelta delle fosse comuni al posto del cimitero, la chirurgia invasiva invece di quella palliativa, i ricoveri per gli amputati, il lavoro minorile, i turni di lavoro di 24 ore su 24 e via discorrendo.
Nulla vieta in realtà di perseguire strade più ambigue, visto che sotto questo punto di vista il profilo ideologico e filosofico di This War of Mine è molto meno accentuato, a causa della barra numerica della speranza/malcontento. Questo valore incide profondamente sulle scelte, è vero, ma è anche un importante spartiacque che impedisce quasi sempre al giocatore di sensibilizzarsi troppo riguardo agli argomenti trattati, affrontando le diverse scelte più con l’occhio clinico di chi deve semplicemente risolvere un gioco di incastri che di chi è posto effettivamente di fronte un problema etico.
Dal punto di vista tecnico Frostpunk è un grosso passo in avanti per la casa di sviluppo, che già con il titolo precedente aveva dato mostra di fare le cose con stile. Una visuale isometrica ci conduce in queste lande desolate fatte solo di neve e ghiaccio, ma capaci di non risultare mai monotone o piatte. Il pregio maggiore va alle luci, che grazie all’alternanza giorno-notte animano l’intero paesaggio. Inoltre la neve è riprodotta con grande attenzione (le scie delle impronte dei lavoratori, tanto per fare un esempio) e dinamicità. Nel complesso il gioco è un vero piacere per gli occhi, ma anche per i PC, che non accusano nessun tipo di calo di frame-rate o di prestazioni. Non possiamo quindi che promuovere il prodotto, il cui unico difetto per ora sta solo nella mancanza di un endless mode o di più scenari giocabili (pur se quelli presenti sono già bastevoli per molte ore).
Per quanto concerne il comparto sonoro, invece, Frostpunk svolge il ruolino standard, inserendo una colonna sonora imponente ma ripetitiva e dei suoni ambientali azzeccati, ma certo nulla che faccia urlare al miracolo. Piccola nota dolente per i non anglofoni è la totale mancanza di localizzazione italiana, neanche per i sottotitoli. Bisogna però far notare che il linguaggio utilizzato è comprensibilissimo oltreché principalmente orientato alle dinamiche di gameplay, non essendo la parte narrativa null’altro che di contorno al nocciolo duro del gioco.