Abbiamo fatto una visita al caro dittattore del Kyrat, Pagan Min, ma non è andata benissimo...
Far Cry non è una serie come un’altra, è stata caratterizzata da un ingresso tra gli sparatutto in prima persona decisamente sottotono. Affossato da un rivale incredibile, maestoso che non gli ha permesso di farsi conoscere maggiormente fin da subito. Il 2004 non solo ha visto il titolo originariamente sviluppato da Crytek uscire nei negozi, ma anche un certo Half Life 2.
Ubisoft comunque aveva visto in Far Cry un potenziale unico, con il secondo capitolo espanse il concetto di sparatutto in prima persona free roaming, peccato che alcuni concetti e meccaniche non funzionavano a dovere, ma erano una base solida per i capitoli a venire. Far Cry 3 fu il primo vero e proprio capitolo della serie ad uscire dall’ombra, non solo i videogiocatori vennero a conoscenza del titolo, ma anche quella massa che fino a prima prenotava il classico PES/Fifa annuale. Il successo è stato ampliato a dismisura grazie all’astuta idea di realizzare un villain memorabile, carismatico, in grado di rimanere nella testa di chi anche solo ne vedeva un’immagine. Insomma, il terzo capitolo è stato un passo enorme per la serie. Ubisoft l’ha capito, ci ricorderemo anche di Far Cry 4. Ma in positivo?
La nostra avventura inizia con il protagonista, Ajay Ghale, un ragazzo nato a Kyrat ma cresciuto in America, di ritorno nella sua terra natia per spargere le ceneri della madre, come da suo ultimo desiderio. A cercare di varcare il confine non è l’unico, nel furgone nel cui si trova vediamo altri pronti ad esibire il passaporto ai soldati presenti alla dogana. La situazione degenera in pochi secondi e noi veniamo messi faccia a terra, in attesa di fare la conoscenza del villain di Far Cry 4. Due secondi dopo averlo visto lo bolliamo immediatamente come carismatico. Ma sicuramente poco simpatico per il protagonista, legato e incappucciato viene portato alla villa di De Pleaur. Qui ci troviamo davanti a Pagan Min, dittatore di Kyrat, che ci svela di come lui conosceva nostra madre, della quale ora rimangono le soli ceneri. Come spiegato poco sopra, le intenzioni di Ajay sono quelle di spargerle nella sua terra natia, in particolare in un tempio a nord della regione.
A consigliarci di non raggiungere quelle zone sono Amita e Sabal, le due guide del Sentiero d’Oro, una fazione in lotta contro la dittatura che da anni sta piegando il Kyrat. Loro sono due personaggi fondamentali per la trama del titolo, in quanto rappresentano la chiave di svolta da cui dipenderà il futuro di molte vite. La nostra presenza e le nostre scelte sono comunque di vitale importanza, in diverse occasioni infatti saremo noi a decidere se supportare le idee di Amita o di Sabal, andando così a cambiare le vicissitudini a seguire.
Detto questo, la trama non porta interessanti spunti che ci facciano incuriosire alle vicende narrate, ma piuttosto attenderemo con curiosità la nuova comparsa di Pagan. Esso infatti, come accaduto con Vaas, è ottimamente caratterizzato. Ci ricorderemo sicuramente maggiormente delle cutscene con lui protagonista piuttosto che delle missioni principali. È questo è l’aspetto più critico di Far Cry 4, i compiti che andremo a svolgere non sono di certo indimenticabili. Anzi, a causa delle meccaniche di gioco di cui vi parleremo dopo, molte di queste le abbiamo trovate frustranti. Pagan Min non è l’unico personaggio ben caratterizzato, in generale i personaggi che incontriamo non li dimenticheremo facilmente. Peccato per un protagonista che non si evolve come Jason Brody di Far Cry 3.
Appena Far Cry 4 venne annunciato, la paura di molti è che fosse il precedente capitolo con semplicemente un’ambientazione diversa. Ormai in molti avevano già intravisto l’ormai collaudata antifona di Ubisoft. Proporre un seguito sulle base del capitolo che aveva ricevuto maggiori attenzioni, cercando di monetizzare sul lavoro già svolto in precedenza. Ora che il gioco è uscito non possiamo che confermare le paure di molti.
Far Cry 4 prende a piene mani quanto visto nel 2012, generando un continuo senso di déjà vu. Rimane quindi la doppia anima da sparatutto con meccaniche stealth. Sta quindi a noi scegliere se agire portando con noi una mitragliatrice leggera oppure un fucile da cecchino silenziato. Nel momento in cui agiamo stealth sono presenti le classiche meccaniche del genere, con l’indicatore che segnala se siamo visibili ai nemici o meno, la possibilità di spostare i corpi e di segnalare le presenze ostili con l’ormai collaudata fotocamera. Tornano quindi i takedown eseguibili con il coltello. Nessuna novità da segnalare sotto questo aspetto, le possibilità rimangono le stesse. Così come la parte sparatutto nuda e cruda, la quale però rappresenta un punto debole della produzione.
Se in Far Cry 3 passavano in secondo piano, nel quarto capitolo abbiamo notato come questa componente soffra delle stesse problematiche in modo più pronunciato. Innanzitutto manca un qualsivoglia feedback dei colpi, se possiamo essere d’accordo sull’assenza di un segnalatore a schermo dei colpi andati a segno, veniamo a meno sulla mancanza della fisicità dei colpi. Inoltre, abbiamo notato come questi non sempre vadano a segno, o meglio, sembra quasi che non giungano nel punto in cui miriamo, a prescindere dalla distanza.
L’evoluzione delle nostre abilità avviene attraverso due alberi, uno rappresentato dalla tigre, ad indicare la forza, ed uno dall’elefante, come simbolo di resistenza. Anche qui la memoria ci riporta indietro nel 2012, ritroviamo infatti le stesse abilità che avevamo sbloccato due anni fa in Far Cry 3. Dagli abbattimenti multipli agli incrementi di salute. Insomma, una mancanza di novità in generale per quanto riguarda il gameplay in generale. Tralasciando il rampino e la possibilità di guidare e sparare, entrambe meccaniche comunque secondarie e poco influenti.
La progressione è quindi quella classica a cui ci ha abituato Ubisoft, tra una missione e l’altra possiamo esplorare l’ambientazione di gioco. Ambientazione che ora è stata finalmente sfruttata maggiormente, offrendo molte più missioni secondarie e attività da svolgere. Tornano le missioni di caccia, di eliminazione dei bersagli importanti e via dicendo, ma con più variazioni. Oltre a queste, sono state introdotte le missioni Karma, e i relativi “punti Karma”. Completando queste tipologie di incarichi, guadagniamo dei gettoni utili per richiamare un mercenario che ci darà man forte nei momenti più impegnativi. Kyrat è una regione che ha un certo fascino, una location che ci stupisce con i suoi scenari che vedono come sfondo l’Himalaya.
Peccato che, se nelle nostre recensioni di Driveclub e Call of Duty: Advanced Warfare avevamo sottolineato come potevamo tranquillamente definirli next gen, grazie ad un lato tecnico memorabile, non possiamo ripeterlo per Far Cry 4. Il Dunia Engine riesce bene nel compito di mettere in gioco un’ambientazione vasta, ma senza eccellere nel dettaglio delle texture, nell’effettistica e tanto meno negli shader. Se questo non bastasse, è fin troppo evidente il riciclo delle varie animazioni, così come dei modelli delle armi, praticamente riprese a piene mani nella quasi totalità dal precedente capitolo.
Per quanto riguarda la cooperativa, possiamo iniziare una partita con un altro giocatore quando vogliamo, scegliendo l’apposita opzione dal menu dedicato. A questo punto il gioco creerà una sessione dedicata caricando il gioco. Una volta che il secondo giocatore si sarà connesso possiamo completare le missioni secondarie, e magari assaltare le fortezze, degli avamposti sotto steroidi, decisamente meglio difese. Vorremmo parlarvi maggiormente anche del multiplayer competitivo ma a causa di un matchmaking problematico abbiamo fatto in tempo a giocare giusto qualche partita, la quale ha rilevato una modalità priva delle interessanti idee implementate nel precedente capitolo.
Se vi siete innamorati a tal punto di Far Cry 3 e non vedete l’ora di rivivere le medesime azioni, la stessa progressione con le meccaniche che ben ricordiamo, allora fate vostro Far Cry 4, non c’è modo di sbagliare, troverete tutto lì al suo posto. Per gli altri, questo è un grosso problema. È difficile trovare un qualcosa di davvero nuovo, di diverso in questo capitolo. Abbiamo un antagonista ancora una volta ben curato, abbiamo una componente stealth e una shooter. Peccato che questa ritorni con gli stessi problemi già incontrati in passato. Il senso di déjà vu è costante, anche se fortunatamente le missioni secondarie sono più varie e ci intrattengono maggiormente. Inspiegabile la scelta del produttore di andare a mettere mano alla componente multiplayer competitiva che si vede spogliata delle ottime idee viste in passato, il pessimo matchmaking non aiuta.