Fallout 4 è il gioco più atteso degli ultimi anni. L'enorme hype che si è generato però non aiuta di certo.
Essere Bethesda o Todd Howard – Executive Producer e Game Director, nonché volto della promozione di Fallout 4 – durante la fase di pre-lancio e di lancio stesso del gioco non deve essere stata una passeggiata, nemmeno tutt’ora che il titolo è disponibile.
Aspettare sette anni per un seguito non è mai facile, ma decisamente non mi aspettavo l’hype che si è creato attorno al quarto capitolo, così condiviso tra la community di internet. Fallout 3 è stato estremamente apprezzato, riuscì però a coinvolgere principalmente gli amanti del post-apocalittico, degli RPG e della vecchia serie. Bethesda, semplicemente rivelando Fallout 4 in una memorabile conferenza pre-E3, è riuscita a coinvolgere chiunque, anche chi di apocalisse e giochi di ruolo non fa il suo pane quotidiano.
Se questo è sicuramente positivo per il proprio business, può rivelarsi anche controproducente. Creare attesa fa aumentare anche le aspettative, più le aspettative sono alte più è facile rimanere delusi, anche per frivolezze.
Con Fallout siamo sempre stati immersi immediatamente nell’apocalisse dopo guerra causata dall’olocausto nucleare che fa da sfondo alla serie. In Fallout 4 viviamo invece la fine della tranquillità e l’inizio del disastro. I giornali e i telegiornali locali, nel 2077, parlano incessantemente di un probabile uso di bombe nucleari, ma nulla che possa intristire la nostra felice famigliola che abita in un piccolo quartiere di Boston.
Una squadra composta da moglie, marito e il figlioletto di pochi mesi che non si fanno di certo scoraggiare. La giornata diventa un po’ meno tranquilla quando alla nostra porta viene a suonare un venditore della Vault-Tec. Approfittandosene della propaganda che dilaga nei media, l’uomo ha intenzione di assegnarci un Vault, un bunker anti atomico, in vista della grande guerra, promettendoci la salvezza della nostra pelle.
Firmati i moduli, capiamo quanto siamo stati fortunati. Le sirene impazzano e gli abitanti si riversano per strada. La guerra è iniziata. Grazie a quel venditore abbiamo un posto dove andare. Ci dirigiamo al più vicino Vault, il 111.
Mentre molte famiglie attendono il loro turno e mentre altre piangono per non poter accedere, noi facciamo in tempo a raggiungere l’ingresso del bunker. Scendiamo sotto la superficie, indossiamo la tuta del Vault e salutiamo per l’ultima volta nostra moglie e nostro figlio. Iniziamo a capire che qualcosa non va, veniamo infatti accompagnati ed inseriti in delle camere criogeniche, qui ci rimarremo per i prossimi duecento anni. Veniamo scongelati ed assistiamo all’omicidio di nostra moglie da parte di uno strano individuo e al rapimento di nostro figlio ancora neonato.
Chiusi nella nostra camera criogenica non possiamo far altro che assistere senza poter correre in aiuto. Qualcosa nel Vault non sta andando come dovrebbe, la criostasi smette di funzionare, riusciamo a liberarci, ma ormai è troppo tardi.
Usciti dal Vault vien da sé capire qual è la nostra missione: trovare nostro figlio. La trama, lo scopo cardine di tutte le vicende, è sicuramente il punto più critico del gioco. Dopo un Fallout 3 dove ci veniva chiesto di cercare nostro padre, non è di certo interessante riproporre la cosa cambiando il parente da ritrovare. Le vicende non riescono a risultare interessanti, anche nel momento in cui si evolvono, non presentando nessun momento memorabile.
La vita di un sopravvissuto però non è certo così semplice e sicuramente è fatta di tanto altro. Durante il nostro viaggio per Boston, incontreremo umani, Ghoul, Supermutanti e tante altre specie. C’è chi è disposto a parlare pacificamente e chi è più veloce ad estrarre l’arma che ad aprire bocca.
Gli abitanti della zona contaminata non incontrano spesso altri civili, per questo non sarà difficile accumulare missioni su missioni che ci distrarranno dal nostro compito principale, accumulandone a decine, così come le ore di gioco. La comunicazione rimane una parte importante delle meccaniche di gioco, in base alle nostre risposte potremo avere informazioni aggiuntive, reazioni diverse e, se siamo abbastanza carismatici, tappi e ricompense extra. Peccato però che le possibili risposte sono poche e fin troppo semplici.
Bethesda ha voluto porre una miglior cura visiva sotto questo aspetto, infatti il nostro protagonista parla a sua volta, rispondendo alle conversazioni, donando così una profondità maggiore. Anche il nostro compagno di viaggio, nel caso ne avessimo uno al nostro fianco, parteciperà con le sue opinioni a riguardo.
Continuando a parlare dei compagni, il loro comportamento durante le battaglie e l’esplorazione non si discosta poi molto da quanto visto in New Vegas. Staranno al nostro fianco dandoci una mano in battaglia, più che risultare devastanti, togliendo a noi il gusto di eliminare i nemici, fungono da distrazione e da supporto. Possiamo dargli un ordine indicandogli a schermo cosa vogliamo fargli fare. Difficilmente sfrutteremo la cosa più di qualche volta, ma in alcuni casi può risultare utile far violare un terminale ad un compagno che ha le conoscenze necessarie.
Finite le chiacchiere, è tempo di attraversare il Commonwealth, tranquilli che, di benessere ce n’è ben poco. Le minacce da tenere in considerazione sono molte. La guerra non solo ha cambiato gli umani, ma ha generato nuove specie non proprio amichevoli. Chi ha giocato i precedenti capitoli della serie non si sorprenderà quando si troverà faccia a faccia con gli Yao Guai, i Deathclaw, i Mirelurk e via dicendo. La maggior parte delle creature che affronteremo sono le medesime viste in passato, con una rivisitazione estetica. Lo stesso vale per le fazioni di umani, ritroviamo i Gunner, i Predoni e altro genere di feccia. Ognuno con i propri ideali e motivazioni per farci la pelle.
Prepararsi a dovere è quindi fondamentale. Non solo è opportuno tenere d’occhio i nostri punti salute, dipendenti dalla nostra grado di Costituzione, ma anche il livello di difesa dai danni balistici, da quelli di energia e dalle radiazioni. Tutte statistiche distinte che vanno tenute a mente nel momento in cui ci equipaggiamo per affrontare un determinato nemico.
Le protezioni sono divise per arti, sta a noi quindi decidere la miglior protezione possibile, non abbiamo più solo delle tute intere, ma anche singoli busti, elmetti e via dicendo. La somma di questi rappresenta la nostra difesa contro le tre statistiche di cui sopra. Nel momento in cui sappiamo che dovremo affrontare dei Sintetici armati di armi ad energia miglioreremo il relativo parametro, se invece vorremo attraversare una zona irradiata la miglior opzione è indossare abiti che ci proteggano il più possibili dalle radiazioni.
Radiazioni che ora hanno un impatto ben più devastante, piuttosto che causare malus infatti, impattano direttamente sulla nostra salute, riducendone il punteggio massimo. Il miglior modo per uscirne vivi è non sottovalutare nessuno dei rischi a cui la zona contaminata ci può esporre. È opportuno quindi muoverci con le dovute provviste, in questo caso Rad-X e Rad Away per prevenire e sbarazzarci dalla contaminazione.
Bisogna difendersi, ma anche avere i giusti mezzi con cui rispondere al fuoco. Le armi sono ancora una volta innumerevoli, ancora di più le varianti grazie all’introduzione delle modifiche delle componenti. Ritornano i grandi classici come il devastante Fat Man, le armi ad energia e al plasma, ma non pensate di avervi accesso fin da subito. Per le prime ore di gioco bisognerà fare i conti con le poco precise armi artigianali, fatte letteralmente di pezzi di legno e acciaio arrugginito. Per migliorarle ci viene in aiuto proprio la modifica di cui sopra dove, in cambio di materiali riciclabili dalle cianfrusaglie raccolte nella zona contaminata, potremo creare la nostra arma preferita.
Possiamo aggiungere dei caricatori più capienti, a costo di una ricarica più lenta, una bocca veloce per aumentare il fuoco a ripetizione e via dicendo. Insomma, passerete molto tempo a creare armi, provando a combinare i vari componenti per realizzare qualcosa di unico e adatto ad ogni situazione.
Continuando a parlare del crafting, una delle più grandi novità è la possibilità di creare interi villaggi. È possibile farlo in zone prestabilite, semplicemente accedendo all’officina dedicata, qui un apposito menu ci fa scegliere ciò che vogliamo costruire in cambio di un determinato numero di componenti. Legno, rame, acciaio e via dicendo, sono fondamentali, per questo ci ritroveremo a raccogliere ogni tipo di oggetto mentre esploriamo Boston riempiendo di sveglie, telefoni, cacciaviti il nostro inventario. Inventario il quale risulta non proprio comodo, avendo una gestione “a lista” poco pratica. Ci ritroveremo spesso a spendere minuti nel ritrovare un determinato oggetto, decidere cosa farne e in caso gettarlo per non eccedere nel peso trasportabile.
La creazione dei villaggi non è un compito obbligatorio ai fini della progressione, ma rappresenta un passatempo con cui spendere diverse ore, nel caso volessimo prendere una pausa dal massacro di infetti e altre creature.
Eliminazione che tra l’altro avviene con grande gioia, come mai prima d’ora. Se nei passati capitoli l’utilizzo dello SPAV, in certe circostanze, era quasi obbligatorio e necessario a causa dell’imprecisione della parte sparatutto, in Fallout 4 è l’esatto contrario. Il sistema di puntamento assistito diventa secondario, quasi futile davanti al gunplay. Sparare, colpire ed eliminare i nemici non è mai stato così piacevole. Il feedback delle armi e delle collisioni è semplicemente ottimo, rendendo ogni uccisione davvero soddisfacente.
Il tutto è aiutato dalle nuove animazioni che amplificano gli impatti e quindi la sensazione di aver messo a segno un colpo, senza contare la violenza dettata da un gran quantitativo di sangue e arti spezzati. La scena in generale è più dinamica, con i nemici che hanno delle loro routine e non semplicemente piazzati in un luogo in attesa di essere “attivati” dalla nostra presenza.
I Ghoul si risvegliano, entrano dalle finestre per poi azzannarci, gli umani e i Supermutanti cercano invece una copertura. Non delle IA memorabili, spesso non sanno cosa fare e semplicemente ci vengono contro, ma la scena generale è sicuramente migliore rispetto al passato. Le fasi sparatutto dunque, soprattutto negli interni, sono più vicine ai classicismi del genere, noi stessi tendiamo ad accovacciarci dietro ad un riparo, sparando nel momento in cui il nemico sporge con la testa.
Il modo di giocare dipende comunque da noi, dalle specializzazioni che abbiamo scelto. Possiamo lasciar perdere le bocche da fuoco e menare le mani con le armi bianche. Queste hanno un gameplay dedicato e più vario, grazie alla parata e ad un attacco debole e pesante. Per chi invece non vuole proprio farsi vedere, lo stealth rappresenta una reale opportunità e non un semplice “extra”. Sgattaiolando alle spalle dei nemici, facendo attenzione ai rumori e rimanendo nell’ombra è possibile eseguire un KO in grado di stendere i nemici grazie al danno doppio che possiamo infliggere, non provateci con un Deathclaw.
Senza dilungarmi in inutili tecnicismi sulla parte visiva, chi si ricorda il verdume di Fallout 3, non può che notare, appena uscito dal Vault, il salto visivo e stilistico. L’impatto è sicuramente immediato, certo, se guardiamo da vicino texture e modelli non ci strappiamo i capelli dalla gioia, ma inutile lamentarsi dal momento in cui era lecito aspettarsi un risultato simile dal motore che, per ovvi motivi, è lo stesso di Skyrim. Se qui chiudo un occhio, l’altro lo tengo aperto per quanto riguarda il framerate, su PS4, davvero fin troppo instabile in certe zone della mappa, dove raggiunge picchi davvero troppo bassi. Ciò che fa più storcere il naso è l’utilizzo di fin troppi elementi – nemici, fazioni ecc. – di Fallout 3, soprattutto per quanto riguarda la soundtrack, seppur sia azzeccata, risulta ridondante.
Non è difficile eleggere già da ora Fallout 4 come uno dei migliori RPG dell’anno. Chi ama la serie e le ambientazioni post apocalittiche può iniziare ad indossare il suo Pip Boy, caricare le tasche di Stimpak e Radaway e partire per la zona contaminata. Gli altri, facciano attenzione all’hype. Il titolo pecca di una narrazione e di una trama troppo banale e per niente interessante, il che influisce pesantemente sulla qualità generale del titolo, unitamente a missioni prive di momenti “wow”. Questo non può che essere sommato in un gran “peccato”. Peccato perché Fallout 4 poteva davvero essere un titolo memorabile, ora è “semplicemente” un ottimo seguito. Manca di quei momenti, di quelle unicità che avevano reso Fallout 3 un titolo indimenticabile. Troviamo però delle migliorie non da sottovalutare, in primis la componente sparatutto che è estremamente piacevole, coinvolgente e soddisfacente. Le missioni e l’esplorazione sono al massimo dei livelli, con un quantitativo di compiti da svolgere davvero elevato, se poi uniamo ciò al crafting le cento ore di gioco sono garantite.