Ecco la nostra recensione di Diluvion, caratteristico titolo focalizzato sull'esplorazione di un affascinante mondo sommerso.
Ignoti, oscuri e pericolosi erano i fondali marini descritti da Jules Verne nel romanzo “Ventimila leghe sotto i mari”, ricchi di forme di vita e meraviglie sconosciute alla società umana. Nelle loro profondità si celavano inusuali stranezze, le stesse che popolano le fredde acque di Diluvion, mondo sommerso creato dai ragazzi di Arachnid Games. Un universo che condivide molte delle particolarità di quello creato dallo scrittore francese e molte delle caratteristiche che quest’estate hanno plasmato No Man’s Sky, creazione di Hello Games.
E’ l’esplorazione il punto focale di Diluvion, l’elemento che spinge i giocatori attraverso ambientazioni uniche ed affascinanti. Scenari che strizzano fortemente l’occhio ad un genere letterario e cinematografico dai forti accenti steam punk. Il prodotto targato Arachnid Games non si ferma però qui, creando un’unità narrativa che si nutre del fascino delle sue atmosfere e dei suoi ambienti. Aree sommerse in cui l’esseri umano è diventato un semplice ospite, imprigionato in piccole capsule metalliche create per proteggerne l’esistenza. E’ biblico il destino dell’umanità di Diluvion, punita per la propria ubris e sete di sangue dalle divinità. Una punizione mostratasi sotto forma di onde gigantesche ed immense maree che hanno sommerso l’intero mondo, condannando l’uomo ad una vita lontana dalla luce del sole. Eppure nonostante la loro origine nefasta gli scenari di Diluvion sono incredibilmente interessanti per estetica e storia.
Una storia che tuttavia (ad eccezione di una breve e testuale introduzione) non viene apertamente narrata, facendo maggiormente riferimento ad una modalità di narrazione simile a quella utilizzata nei vari Dark Souls. Parliamo quindi più di lore che di una vera e propria trama, veicolata da particolari e dettagli negli ambienti e da rari riferimenti nei dialoghi di gioco. Sta però in questo uno dei più grandi problemi dell’intera produzione, ossia la strana decisione di non voler puntare al cento per cento su un universo altresì estremamente affascinante, creando invece scambi di battute sconnessi e privi di mordente. Interazioni così poco carismatiche da rendere macchiettistici molti dei personaggi presenti nel gioco, che spesso nemmeno variano in quanto a design e presentazione.
Quale mezzo migliore per esplorare i fondali marini che un sottomarino? Ecco perché all’inizio dell’esperienza sarà fornita al giocatore la possibilità di scegliere tra tre diverse classi, differenziate in base alle loro peculiarità ed incentrate ognuna su una differente caratteristica predominante. Che sia essa velocità o potenza di fuoco, sarà comunque possibile successivamente personalizzare e potenziare il proprio mezzo, approfittando dei relitti sparsi lungo i fondali e di particolari meccanici capaci di fornire ulteriori upgrade. Non saranno tuttavia solamente pezzi di motore e ferro a migliorare le performance dei sottomarini in nostro possesso, visto che all’interno del gioco ricopre una notevole importanza anche la gestione della ciurma ed il suo utilizzo all’interno della nave, il quale può contribuire al miglioramento delle statistiche di motore, sonar ed armi.
L’esplorazione approfondita del mondo sommerso di Diluvion non ha quindi importanza solamente in termini di crafting delle risorse, ma anche nella costruzione di una base di manodopera che possa aiutare la ciurma nella propria missione. Soffre tuttavia di incompiutezza questo aspetto del gioco, che finisce per diventare fin troppo centrale nell’economia del titolo e stancante sul lungo periodo. Ciò deriva dalla struttura troppo similare delle missioni, che salvo rari casi si riducono all’ormai onnipresente paradigma viaggio-ricerca oggetti. Persino gli infrequenti incontri con altre imbarcazioni nemiche non riescono a sostenere e forzare un alto livello di attenzione nel giocatore. Un peccato visto che pur non presentandosi troppo profondi in quanto a meccaniche i combattimenti risultano godibili e divertenti. In tal senso il modello “Dark Souls”, in cui la narrazione della storia si fonde con gameplay e level design funziona solamente se le attività all’interno della produzione riescono nel mantenimento di un ritmo di gioco sempre alto e costante. In un titolo più riflessivo come quello in questione, che come struttura (se proprio vogliamo fare dei raffronti) attinge maggiormente a No Man’s Sky piuttosto che ai lavori From Software, si tratta di un proposito ben più difficile da mettere correttamente in esecuzione. Un proposito che in questo caso si è trasformato in lunghe ore di noia.
A non riuscire a brillare non è solamente la luce del sole negli oscuri fondali marini, ma anche la realizzazione tecnica di Diluvion. Chiariamoci, in nessun modo il prodotto di Arachnid Games si può definire esteticamente brutto o poco gradevole. Si tratta invece di un esempio di come un’affascinante e forte identità artistica può compensare una complessità tecnica molto bassa. Gli ambienti di gioco sono spesso costituiti da scarne pareti rocciose o da fondali in cui si ripetono all’infinito gli stessi modelli di costruzioni umane, strani coralli e vegetazioni. Eppure ogni volta che compare un segno del carattere che pervade questo gioco, che sia esso nella forma dei lucenti e dorati pesci utili come indicazione o delle illustrazioni che compongono le ambientazioni interne, questo basta a ravvivare ancora una volta la curiosità in un mondo che raramente fa la sua comparsa nel medium videoludico.
Eppure nonostante tutta la cura utilizzata nella creazione di un comparto artistico che sopperisca alle mancanze della realizzazione tecnica e che stimoli in continuazione l’interesse del giocatore, in nessun momento Diluvion spinge veramente sull’acceleratore, cercando di capitalizzare la propria bellezza e la voglia di scoprire cosa si cela nel passato del genere umano e quale possa essere il suo futuro. Non riesce per esempio a sorprendere come nel corso dello scorso anno aveva fatto un altro gioco focalizzato sugli ambienti sottomarini, quel Song Of The Deep che con un impatto estetico meraviglioso e solide meccaniche di gioco era riuscito a conquistarsi l’amore di un gran numero di fan. Eppure potrebbe, e in limitati ambienti ci riesce anche. Lo fa per esempio confezionando una colonna sonora che se sfiora la magnificenza, fondendosi in perfetta sinfonia con ciò che accade a schermo ed enfatizzandone i momenti di tensione.
Diluvion soffre gli stessi problemi che secondo chi scrive questa recensione hanno afflitto la scorsa estate il lavoro di Sean Murray ed Hello Games. Condividono entrambi un’idea di fondo estremamente affascinante, che fa leva sul piacere della scoperta insito in ogni uomo. Portano però sulle proprie spalle anche lo spettro di una ripetitività che, viste le meccaniche di gioco, si annida dietro ogni angolo, rischiando di tagliare corta un’esperienza che altrimenti potrebbe diventare un piacevole ricordo. Ciò su cui però il prodotto targato Arachnid Games fallisce clamorosamente è l’utilizzo della propria narrativa, sciorinata banalmente in dialoghi privi di mordente e tramite personaggi completamente mancanti di carattere e carisma. Sbaglia nella ripetitività con cui sfrutta le meccaniche di loot ed esplorazione ed erra persino nella loro esecuzione. Non è tuttavia un esperimento malamente confezionato, ma un prodotto che al contrario fa riferimento ad un pubblico ben preciso, alla ricerca di un gioco che si stacchi fortemente dal panorama odierno ed offra un’avventura incentrata sul piacere della scoperta di un mondo unico nel suo fascino.