Un titolo indie che fa del citazionismo anni 80 il proprio cavallo di battaglia, attraverso un gameplay ibrido a metà tra il platform e il puzzle.
Crossing Souls è un’avventura indie, con elementi action e platform, chiaramente ispirata alla cultura pop anni 80, attraverso un’accurata operazione nostalgia che fa del citazionismo il suo punto di forza.
Bisogna subito iniziare a dire che l’ultima tranche commerciale in tema di intrattenimento (che sia cinema, televisione o videogiochi) sta cominciando ad abusare dell’ambientazione anni 80, che era partita come revival colto e che sta lentamente ma inesorabilmente andando verso la scimmiottatura vera e propria. Non è ancora chiaro poi per quale motivo gli eighties siano assurti a faro di bellezza e intoccabilità critica, quando nel complesso la loro eredità consta di alcuni oggettivamente apprezzabili cult, ma anche di tanta, tantissima robaccia.
Crossing Souls fa della citazione il vero e proprio cuore pulsante della sua struttura narrativa, introducendo i soliti 5 ragazzini in vacanza estiva che, armati di biciclette, coraggio, sneakers ai piedi e tanta curiosità, scoprono un complotto capace di portare alla fine della vita sul pianeta Terra.
Per questioni di spoiler risulta complicato rivelare ai lettori molto più di questo. Basti sapere che il fulcro sia della trama che di parte del gameplay è rappresentato da una pietra magica, capace di trasportare l’utilizzatore nel mondo dei morti. I cinque amici hanno ognuno le proprie peculiarità e il proprio background, affrontando nel corso del gioco sia problematiche leggere e scanzonate che momenti di intensa drammaticità, in un mix gradevole e bilanciato.
Già con queste poche parole si riescono a evidenziare le prime, evidenti citazioni: Stand by me, il celebre film tratto dal racconto breve The body di Stephen King, il soprannaturale in tutte le sue salse nonché la capacità di viaggiare tra due mondi (abbiamo a disposizione un’iconografia sconfinata in merito, ma ci accontentiamo di Stranger Things). Il gioco approccia subito con numerosi e voluti cliché pescati a piene mani dalla cultura pop precedentemente citata, per poi virare verso temi più ampi e controversi, pur mantenendo intatto il suo stile narrativo scanzonato e leggero. Nel complesso quindi l’intento rievocativo è pienamente riuscito, certo però senza aggiungere niente di particolarmente originale se non una grande cura del dettaglio e un discreto equilibrio di trama.
I problemi si manifestano in maniera più evidente nel lato gameplay del software, che non riesce in nessun modo a spiccare il volo. Il titolo rimane principalmente un platform, nel quale il giocatore è chiamato a scegliere in qualsiasi momento il personaggio da utilizzare, caratterizzato da distinte peculiarità. Il nerd del gruppo può compiere, grazie alle sue scarpe, balzi incredibili, mentre Big Joe viene utilizzato per spostare oggetti pesanti e via discorrendo. Di conseguenza le sfide presentano quasi sempre un iter da seguire a seconda dei diversi ostacoli inseriti, ostacoli che si fanno con il proseguo non tanto complicati quanto massicciamente concentrati, in maniera da alzare l’asticella della difficoltà.
In realtà più che difficoltà si deve parlare di osticità, che sfocia quasi nella frustrazione di fronte a puzzle game monotoni e a un sistema di controllo dei personaggi, soprattutto nelle sezioni platforming, davvero troppo legnoso. Una caratteristica che forse andava bene per i vecchi giochi in cabinato dell’epoca della storia, ma che ad oggi è solo un neo per la produzione e certo non un piacevole omaggio al medium del tempo che fu. Fortunatamente i dialoghi e l’ambientazione rendono molto meno sgradevole quello che è, a conti fatti, un videogioco appena sufficiente dal mero punto di vista della fruibilità e dell’attività da compiere.
Tecnicamente parlando Crossing Souls vanta una pixel art di grande impatto, pur se minata da un game design a volte troppo esagerato nell’inserire elementi, ninnoli e ammenicoli vari. La schermata di gioco è densa di colori, di strutture e di oggetti, quasi tutti a scopo estetico/descrittivo, ma capaci di dare al giocatore un certo senso di disorientamento. Non si può parlare di insufficienza, perché il lavoro svolto è indubbiamente di qualità: giusta la palette di colori, interessanti le animazioni e sempre molto plausibili gli effetti grafici. Rimane però quel disordine di fondo che non aiuta l’immedesimazione. Fortunatamente le scene di maggiore importanza sono sintetizzate attraverso delle cut scene animate. Il comparto sonoro è invece di grandissima qualità, senza alcun tipo di sbavatura (e ovviamente il synth in stile Yamaha la fa da padrone). Da segnalare la lingua, esclusivamente scritta e solo in inglese, cosa che al giorno d’oggi non dovrebbe, si spera, essere più un problema.
Qualora voleste provare con mano il titolo, vi consigliamo di scaricare la demo dimostrativa.