Gearbox Software si da al lato competitivo del gaming, avrà saputo soddisfare la critica?
Battleborn è l’ultima produzione di Gearbox Software, la celebre software house creatrice della tanto apprezzata serie Borderlands, pubblicato da 2K Games. Nel corso dei mesi precedenti alla sua uscita si è presentato al mondo con una serie di trailer che lo raffiguravano come un nuovo MOBA in prima persona su console.
Uno sparatutto di stampo altamente competitivo e strategico contornato dall’ironia di Gearbox, oltre ad essere coloratissimo. La software house avrà rispettato la promessa fatta ai propri fan offrendo la giusta dose di esport oppure si rivelerà essere tutto un abile trucco di mercato per sfruttare l’onda del successo di questo genere?
La storia non è esattamente la modalità centrale di un titolo a stampo competitivo ed è per questo che nella maggior parte dei casi questa venga proprio omessa della produzione. Battleborn non l’ha fatto, purtroppo. Gearbox ha voluto raccontare qualcosa e non semplicemente sbatterci in faccia una serie di lottatori e lasciare al giocatore solo l’ardua scelta di scegliere quale portare in campo.
Questa poteva rivelarsi una vera carta vincente per il titolo che purtroppo però non viene sfruttata a pieno. All’inizio si viene proiettati all’interno di un prologo che funge da tutorial delle basi di gioco e ci introduce, grazie ad un video, alla trama di fondo di Battleborn: l’universo sta per collassare, la fine di tutte le stelle è vicina ed è per questo che le civiltà dello spazio si sono congiunte in un unico luogo, nell’unica stella rimasta. La loro convivenza come spesso accade sfocia però in sanguinarie battaglie per il controllo di quest’ultimo baluardo.
Un incipit interessante e che poteva dare vita a qualcosa di davvero ammaliante, ma che fin dal prologo viene reso nullo. Il giocatore si ritrova in pochissimi minuti a dover fare i conti con nomi di personaggi, razze aliene, nemici e chi più ne ha più ne metta che bombardano la sua memoria e al tempo stesso non spiegano assolutamente nulla, lasciando il malcapitato nell’assoluta confusione; tutto arricchito dall’ironia ripescata all’80% da Borderlands. Questa, piuttosto che spiccare, innervosisce ancora di più il giocatore poiché non comprende la quasi totalità delle battute proposte.
La storia è divisa in otto diverse missioni, giocabili sia in privato che in multiplayer pubblico, che portano i vari personaggi ad affrontare una serie di sfide che propongono quasi sempre tre diversi boss. Al termine di questa, la missione svolta permetterà al giocatore di sbloccare nuovi personaggi per le proprie partite.
Il vero problema di questa modalità risiede però nella gestione del matchmaking per quanto riguarda la sessione multiplayer pubblica e la calibrazione dei nemici per le sessioni private. Giocare Battleborn in gruppo è divertente ed è quindi per questo che la modalità storia da il meglio di sé quando più giocatori si riuniscono in una sola sessione di gioco. Questo comporta a dover scegliere, tramite una votazione, un’unica missione che soddisfi le esigenze di ogni partecipante rendendo di conseguenza difficile giocare la missione alla quale si è interessati, con il rischio di perdere il filo logico, per quanto labile, della trama.
A tale scopo ci corre in soccorso la modalità privata che permette di giocare in completa solitudine le otto missioni proposte, scegliendo quella che più aggrada il giocatore. Curiosa la scelta di non fornire al giocatore alcun personaggio alleato di supporto controllato dall’IA. Le missioni sono infatti tarate per essere giocate in una squadra completa di cinque giocatori, affrontare una di queste in solitaria risulta essere una vera prova di pazienza.
I nemici proposti non sono infatti eccessivamente proibitivi, ma arrivano in grande numero contro il giocatore e, questo soprattutto per quanto riguarda i boss, dispongono di una quantità di vita davvero notevole. Giocare da soli offre quindi il vantaggio di scegliere in completa libertà la propria missione, ma il risultato si trasforma in un gameplay lunghissimo – si parla di più di trenta minuti a missione – e tedioso, se non impossibile nel caso si scelga un personaggio di supporto e che quindi infligge pochi danni.
La seconda modalità di gioco è rappresentata dalle partite Versus. Anch’esse pubbliche o private. Vero cuore pulsante del prodotto che dovrebbe sorreggere l’intero lavoro di Gearbox offrendo uno stile di gioco elaborato e di stampo competitivo. Questa modalità propone tre diverse tipologie di partite nonché tre differenti tipi di ambientazione: Mappe Cattura, Mappe Incursione e Mappe Fusione. Le prime rispecchiano una delle modalità ormai divenute classiche nei titoli sparatutto, tre zone di controllo sono disposte nella mappa, conquistarle e mantenere il loro controllo permette di guadagnare punti, la prima squadra che raggiunge un determinato numero di punti vince.
Le seconde si avvicinano nettamente alla classica mappa da MOBA, una sentinella gigante funge da base per ciascuna squadra generando di volta in volta piccoli minions che si affrontano lungo un tragitto prestabilito, all’interno della mappa sono presenti poi campi di mercenari e torrette per supportare le azioni della propria squadra (verranno descritte con maggiore cura più avanti), la distruzione della base avversaria porta alla vittoria.
Infine le mappe fusione propongono nuovamente un sistema a punteggio basato sui minion sacrificati; nella mappa verranno generati minions a intervalli regolari da tre spawner diversi, il compito dei giocatori è quello di scortarli al di là della mappa per sacrificarli poi all’interno di un divoratore. Ogni minion sacrificato porta punti alla squadra, che vince non appena raggiunge un determinato numero di sacrifici.
Esclusa la prima modalità, ormai un classico degli sparatutto sia in prima che in terza persona, le altre offrono buone basi per un sistema di gioco competitivo. Tutto inizia con due squadre rivali composte da cinque giocatori ciascuna, a questi si aggiungono una serie di piccoli minions controllati dall’intelligenza artificiale, campi di mercenari conquistabili e una serie di torrette attivabili.
Come spesso accade nei MOBA, anche in Battleborn sono presenti dei crediti da spendere, ma a differenza della maggior parte di questi titoli, queste transizioni non potenziano i personaggi, ma l’ambiente. I crediti si accumulano automaticamente, ma possono essere trovati anche sotto forma di “schegge” nella mappa di gioco, raggiunta la cifra necessaria è possibile spendere le proprie schegge costruendo una torretta in una delle zone predisposte, migliorarne una già esistente, realizzare un piccolo drone in grado seguire e aiutare il giocatore oppure costruire un minion avanzato, in grado di aiutare i nostri piccoli soldati.
L’avanzamento di livello è l’unico modo per migliorare le prestazioni del proprio personaggio e tale numero non è condiviso con il resto della squadra, l’esperienza necessaria viene immagazzinata uccidendo minions e avversari; livellare troppo lentamente porta ad una sconfitta lenta e dolorosa. Ad ogni nuovo livello si sblocca due varianti passive delle abilità base del proprio personaggio, fatta eccezione per il decimo livello che consente di utilizzare la mossa finale.
Il giocatore può quindi scegliere quale potenziamento ottenere in base al proprio stile di gioco e all’esigenza della partita. Infine il tatticismo è aumentato dalla presenza di campi di mercenari detti Thral da conquistare nei momenti opportuni e che forniscono un buon supporto alla propria squadra.
Le mappe proposte, indipendentemente dalla modalità scelta, sono ricche, sufficientemente ampie, ma fin troppo complesse per un MOBA, offrendo troppi punti ciechi, curve, costruzioni e diversi livelli di altezza, richiedendo diverse partite prima di memorizzarle almeno in parte. Ad aggravare questo aspetto è la scelta di realizzare il gioco in prima persona limitando notevolmente il controllo della mappa da parte dei giocatori.
Mantenere il contatto visivo sulla minimappa e capire dove si trovino i propri compagni o i nemici nel corso di uno scontro è un impresa assai ardua, proprio per questo Gearbox viene incontro alle esigenze dei giocatori con dei segnali audio di avviso. Alcune azioni chiave, come la conquista di un campo di mercenari o l’avvenuto controllo di un’area, vengono annunciate da una voce fuoricampo offrendo un’idea ai giocatori di cosa sta avvenendo nella mappa e dove potrebbero trovarsi i vari giocatori. Nel complesso coordinarsi con i propri compagni e capire come distribuirsi al meglio nella mappa di gioco risulta troppo complicato ponendo un freno notevole alla natura competitiva del titolo.
Un altro evidente difetto sta nella gestione della abilità e degli attacchi base in caso che questi siano a distanza oppure ad area. Nelle nostre partite ci siamo presi in simpatia il personaggio Orendi, una sorta di streghetta con attacchi base a distanza e abilità ad area. Una di queste consente di attivare una magia che crea un cerchio magico sul terreno evocando, un secondo dopo dalla sua apparizione, un pilastro in grado infliggere danni; porre il cerchio magico sul terreno nel luogo esatto è tutt’altro che semplice, la foga della battaglia non permette di scegliere con cura la distanza dell’evocazione e soprattutto la visuale in prima persona suggerisce solo in minima parte dove piazzare l’abilità in modo da tagliare la strada ai nemici.
È vero che questo problema si presenta maggiormente con personaggi aventi abilità ad area ma ciò si ripresenta con gli attacchi base di ognuno; pur comparendo la cifra del danno inflitto, il più delle volte non si riesce ad avere un feedback immediato se il colpo sia andato o meno a segno o fino a che distanza si possa colpire l’avversario.
Battleborn ripesca ampiamente dallo stile di Borderlands offrendo però anche tante novità. La storia di fondo ha portato tutte le civiltà dell’universo a riunirsi in un unico punto ed è per questo che all’interno di un solo gioco sono presenti robot senzienti, grandi omoni dell’esercito, strani esseri dotati di controlli mentali, elfi e tanto altro ancora.
Questo, per quanto coerente, non sempre soddisfa il giocatore che in tutto non riesce a trovare un unico filo conduttore, forse sarebbe stato meglio ridurre le razze e le tipologie di cultura proposte per fornire un vero e proprio “stile Battleborn”? Perché è proprio questo che manca al titolo, un proprio stile personale che faccia suo non solo il gameplay, ma anche lo stile grafico proposto. Tuttavia non ci sono gravi errori a livello tecnico, nessun calo di frame da segnalare, le texture curate e i modelli poligonali hanno dettagli degni di nota.
Battleborn è, purtroppo, un titolo facilmente dimenticabile. Gearbox ha voluto cavalcare l’onda dei MOBA e della competizione online senza però riuscirci fino in fondo. Nonostante il titolo non presenti gravi errori di natura tecnica e di realizzazione è impossibile non notare come manchino delle profonde linee guida a impostare lo stile di gioco.
Usando un’espressione gergale, si può dire che la produzione di Gearbox non è “né carne né pesce”, offrendo uno sparatutto che tenta di imitare sotto molti aspetti Borderlands, ma senza riuscirci. Al tempo stesso ambisce ad un alto livello competitivo, anche questo obiettivo non è raggiunto a causa dei grandi problemi di gestione delle abilità e di controllo della mappa che affliggono il gameplay.