Un nuovo titolo indie italiano sorprendente e tutto da scoprire
Dopo aver assistito all’evento di ID@Xbox, anche noi di kingdomgame.it stiamo provando sempre più a dar voce alla piccola e grande produzione italiana, l’abbiamo fatto con la recensione di Hyperdrive Massacre, con l’intervista a Michele Giannone di InvaderGames e oggi vi andremo a proporre la recensione di un nuovo titolo tutto italiano: Albedo: Eyes from Outer Space, con la sua versione Xbox One a differenza di quella PC che avevamo già trattato nella precedente estate.
Albedo è davvero peculiare, come spesso accade nelle opere indipendenti questo gioco è stato realizzato da una singola persona, Fabrizio Zagaglia, ma nonostante ciò il prodotto finale risulta essere solo a un passo dalle produzioni più grandi.
Albedo si può definire un puzzle game fantascientifico tridimensionale che si propone con una serie di stanze autoconclusive al cui interno risiedono alcuni enigmi da risolvere ma in alcuni momenti il gioco offre anche una certa dose di azione toccando il genere FPS, ma procediamo con ordine.
All’interno del laboratorio Jupiter dell’Olympus Group avviene un inaspettato incidente che fa perdere i sensi al protagonista, un semplice guardiano amante dell’ alcol. Risvegliatosi qualche ora dopo, si trova costretto a fare i conti con strane creature ostili, probabilmente aliene, nella completa solitudine. La propria astuzia sarà la principale arma contro questi nemici; nonostante alcuni di loro si riescano ad abbattere usando la forza e i “momenti da FPS” permettano di avere la meglio su di loro, la maggior parte delle volte sarà il nostro guardiano a rivestire i panni della preda.
Per andare avanti nel gioco è essenziale quindi ragionare e farlo accuratamente. Per accedere alla stanza successiva è necessario raccogliere oggetti e adoperarli insieme a quelli che si hanno già in possesso oppure utilizzare questi ultimi con gli elementi nuovi presenti nella stanza. Nessun oggetto ottenibile nel proprio inventario è inutile, qualsiasi cosa ha uno scopo e bisogna sempre tenere aperta la mente alla ricerca di un modo per utilizzarlo. Una delle cose che infatti stupisce di Albedo è la grande quantità di oggetti utilizzabili all’interno delle varie stanze che permette una libertà d’azione davvero ampia e variegata al di là delle aspettative per un titolo indipendente.
Manipolare, collegare, utilizzare insieme i ari oggetti di gioco molto spesso porterà a generarsi anche dei “minigiochi” rappresentativi dell’enigma che si sta risolvendo in quel momento, offrendo quindi un panorama abbastanza cangiante dell’avventura.
Nonostante il menu principale e anche quello in gioco risultino abbastanza approssimativi e potrebbero far pensare ad una scarsa qualità, una volta avviato il gioco si fatica nuovamente a credere che quella che si ha davanti sia una produzione indipendente realizzata da una sola persona. La realizzazione grafica è veramente notevole e con un tocco vintage che crea una atmosfera fantascientifica concreta. I modelli poligonali e gli shader presenti sono ricchi di dettagli e interessanti e, come detto prima, è possibile interagire con molti di questi. Purtroppo l’audio non riesce a sorprendere in maniera uguale, troppe volte si ha a che fare con suoni ambientali che si ripetono per un lungo periodo di tempo, creando un vero e proprio fastidio nei timpani del giocatore, con una regolazione di alti e bassi molto spesso da rivedere.
Un altro problema si riscontra direttamente nel gameplay di questo titolo. Il gran numero di oggetti che si possono manipolare e collegare tra loro rende tutto più ampio e incuriosisce il giocatore provocando però numerose volte un senso di smarrimento nel momento in cui ha troppi elementi che interagiscono e non sa in che ordine utilizzarli. Questa è forse la pecca più grande del gioco che può creare un sentimento profondo di frustrazione nel videogiocatore che potrebbe addirittura portarlo all’abbandono del titolo. Pochi suggerimenti sono infatti offerti dal gioco a difficoltà normale e numerose volte, nonostante si abbia ben in mente ciò che va fatto per superare quel determinato enigma, non si riesce ad utilizzare gli oggetti come si vorrebbe.
Albedo prende fortemente spunto dalle opere cinematografiche e televisive fantascientifiche degli anni ’60 caratterizzate da una certa ironia e da effetti visivi grossolani ma efficaci. Ciò che prepotentemente riporta indietro nel tempo il giocatore è senza subbio l’interfaccia di gioco amministrata da un semplice inventario posto nella parte in alto dello schermo ed una serie di comandi centrali a questo.
È necessario prenderci un po’ la mano prima di assoggettare questa interfaccia al nostro volere, il forte stampo retrò si scontra con le esperienze attuali dei videogiocatori medi, ma ci si fa comunque l’abitudine. Anche dopo averci preso la mano però, l’interfaccia rimane comunque troppo lenta da gestire provocando qualche problema nei momenti più concitati di gioco e costringendo il giocatore a dover rallentare le proprie dita per eseguire l’azione richiesta. La stessa sorte tocca anche i movimenti base del protagonista che a volte non reagiscono in modo pertinente al comando impartitogli.
Albedo è sorprendente, il lavoro fatto con questa titolo supera ampiamente le aspettative di una produzione indipendente, offrendo un gameplay ricco, profondo, ma soprattutto ampio, caratterizzato da numerosi puzzle ed enigmi. Purtroppo le pecche non mancano, una mancanza fin troppo alta di suggerimenti al giocatore unita ad un sistema di controlli e di interfaccia non sempre funzionale può provocare molta frustrazione nel videogiocatore medio.