Scopriamo insieme se l'opera di Josef Fares è davvero la piccola perla su cui EA puntava.
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Bisogna ammetterlo, nel corso del 2017 Electronic Arts è finita sulla bocca di tutti sempre e solo per i motivi sbagliati. Dopo il fallimento di Mass Effect Andromeda con conseguente ridimensionamento di Bioware, la chiusura ufficiale di Visceral Games e le polemiche nate in seguito alle implementazioni di invasivi acquisti in-game all’interno di Star Wars Battlefront II, la famosa compagnia statunitense ha perso molto appeal nei confronti del pubblico. La fiducia riposta nei suoi progetti è velocemente scemata e i timori sul suo futuro si sono fatti sempre più concreti, una profonda ferita che nessuno sapeva se sarebbe mai stata ricucita. Proprio in relazione di ciò, è quindi ancor più sorprendente rendersi conto di come uno dei progetti più interessanti – e per certi versi innovativi – di questo 2018 provenga proprio dalla sua ludoteca. Presentato con estrema sicurezza all’evento pre-E3 del 2017 da un Josef Fares ormai entrato nel cuore di tutti noi videogiocatori per il suo raggiante carisma e le sue dichiarazioni sempre sopra le righe, A Way Out ci ha immediatamente folgorato per la sua idea di fondo, un incipit tanto semplice quanto coraggioso per un’epoca come quella odierna. Riprendendo il concetto della coop da salotto ormai venuto meno da oltre un decennio, A Way Out ci mette infatti nella condizione di poter vivere un’avventura da godersi totalmente in split-screen in compagnia di un amico. Con la partecipazione del buon Luca Del Pizzo e armati di microfono, abbiamo quindi dato il via a questa atipica creatura potendone saggiare con mano ogni più piccola qualità.
Vincent Moretti e Leo Caruso sono due criminali incarcerati nello stesso penitenziario. Il luogo è tutt’altro che accogliente, le guardie ben poco accondiscendenti e i detenuti estremamente pericolosi. Proprio durante una violenta rissa, i due finiscono per incontrarsi e cominciano lentamente a conoscersi, capendo ben presto di essere entrambi finiti dall’altro lato delle sbarre per colpa dello stesso uomo. Desiderosi di vendetta, i due decideranno quindi di collaborare per fuggire di prigione e, al contempo, colmare la sete di sangue che pervade entrambi. Quella appena raccontata è la semplice ma riuscita premessa narrativa che darà il via all’avventura di A Way Out, completabile in circa sei orette di gameplay. Il titolo non punta a narrare una storia fuori dal comune o mai sentita prima, preferendo piuttosto lasciarsi cullare dal dolce abbraccio di numerosi cliché già visti in tanti romanzi, film e serie TV. Fortunatamente, però, l’avventura si caratterizza per un ottimo ritmo e una regia di prim’ordine che contribuiscono a ricreare il giusto pathos emotivo durante tutta la vicenda raccontata. Se da una parte è infatti vero che il titolo si rivela infarcito di cliché, questi non risultano mai fastidiosi o esageratamente forzati, mostrandosi invece ben amalgamati nell’avventura che proseguirà speditamente dall’inizio fino ai titoli di coda.
Di ottimo livello si è poi rivelata la caratterizzazione dei due protagonisti che andremo a interpretare, entrambi ricchi di sfumature e con i propri scheletri nell’armadio ma emotivamente ben delineati e dal preciso codice morale. Se da una parte Leo Caruso è una testa calda, impulsivo, a volte violento e dal grilletto facile, dall’altro lato Vincent Moretti è decisamente più calmo e pragmatico, un uomo che preferisce ragionare prima d’agire; due facce di una stessa medaglia, potremmo azzardare a dire. Il risultato finale è così un riuscito mix d’eventi e situazioni che tra un colpo di scena e l’altro riescono a tenere i giocatori perennemente attaccati allo schermo, ormai desiderosi di scoprire come andrà a concludersi l’intera vicenda. Detta in parole povere, un bersaglio decisamente centrato da parte di Hazelight Studios.
Come detto inizialmente, ludicamente parlando A Way Out punta su di una struttura di gioco oramai quasi totalmente dimenticata. Il titolo è infatti giocabile unicamente in split-screen e, conseguentemente, sarà necessario avere qualcuno con cui giocare. Fortuna vuole che il titolo sia godibile in coop sia in locale che online, anche se comunque è fortemente consigliato giocare insieme a un amico con cui sia possibile dialogare, visto che altrimenti si rischierebbe di veder venir meno molta della magia che il titolo vuole trasmettere. Essendo nato per essere goduto in cooperativa, A Way Out fa ampio uso di espedienti e meccaniche per cui sia necessario che i giocatori di turno collaborino attivamente per riuscire ad aggirare i tanti ostacoli che gli si pareranno innanzi. La produzione riesce infatti più volte a sorprendere per la gran varietà di situazioni che andranno affrontate di petto, tra le altre cose rivelatesi tutte sempre divertenti da vivere in-game, indipendentemente che si parli di arrampicarsi su di un lungo muro spalla contro spalla, sfuggire a un inseguimento con la polizia o scontrarsi con un pericoloso assassino. Proprio la varietà che il titolo riesce a offrire rappresenta la punta di diamante dell’intera produzione, la quale poi brilla ancor più di luce propria per tante piccole trovate che, nell’insieme complessivo, riescono a restituire un risultato ancor più indimenticabile. Per fare un esempio, in numerose situazioni verremo posti davanti a un bivio in cui bisogna mettersi d’accordo su come procedere in una data situazione scegliendo tra due opzioni a vostra disposizione; deciderete di muovervi sotto un ponte per evitare i poliziotti lì presenti oppure ruberete una volante cercando di passare inosservati lungo la strada? La scelta è solo vostra, e ciò contribuisce non solo a dare un senso di maggior unicità al gioco, quasi come se foste voi a creare la storia stessa che andrete poi a vivere, ma si rivela anche capace di restituire una più profonda sensazione d’intesa e collaborazione tra i due utenti di turno.
Oltre a questo, sono poi presenti numerosi svaghi e minigiochi che sarà possibile incontrare lungo la strada per la libertà, tante simpatiche aggiunte che spaziano dalle freccette alla palla canestro, fino poi giungere al braccio di ferro o, ancora, a un vero e proprio cabinato in cui giocare a una sorta di pallavolo stilizzata, il tutto ovviamente sempre contornato da un punteggio per potersi bullare dello sconfitto di turno. Il tutto funziona in maniera magistrale e restituisce ai giocatori un’esperienza estremamente divertente ma al contempo minata da alcune problematiche di fondo. In primis, vuoi per la natura stessa del titolo, bastano appena pochi minuti per constatare come l’intera avventura sia estremamente facile. Morire sarà infatti una vera impresa e la quasi totalità delle volte dipenderà da un tasto premuto al momento sbagliato, tra Quick Time Event e sezioni a tempo in cui capire cosa dover fare. Secondariamente, la presenza dello split-screen rende a volte difficoltoso comprendere cosa stia succedendo su schermo. Se dal lato narrativo ci si può anche organizzare – io e Luca Del Pizzo ci alternavamo a parlare con gli NPC per evitare che le voci si sovrapponessero –, le situazioni ludiche più veloci e adrenaliniche si dimostrano quantomeno caotiche e seguire attentamente l’azione si è rivelato abbastanza difficoltoso in più di un’occasione. Ciò detto, si parla comunque di mancate limature che non penalizzano eccessivamente la produzione, la quale è comunque venduta al prezzo budget di 30 euro e permette a due persone di giocare con una sola copia del titolo.
Graficamente parlando, A Way Out vive di alti e bassi, una condizione indubbiamente dovuta a un budget tutt’altro che stellare legato a doppio filo con un team dalle dimensioni ridotte. Quello che si evidenzia fin da subito è un bel quadro generale, con scenari puliti, tanti personaggi su schermo e buoni effetti di luci e ombre. In particolar modo, i due protagonisti dell’avventura sono molto ben dettagliati e riescono a mettere in mostra espressioni facciali decisamente convincenti, così come convincente si è rivelato il lavoro fatto in termini d’ottimizzazione che, su di un PC composto da una GTX 970, 16GB di RAM e un i7 4790k, ha viaggiato fluidamente a 60 frame per secondo. Al contempo, però, basta avvicinare un po’ la telecamera per notare le tante crepe che adornano l’opera, tra texture poco dettagliate, una conta poligonale di oggetti ed edifici piuttosto povera e legnose animazioni che ci terranno compagnia per tutta l’avventura.
Il risultato finale, insomma, non risplende certo come la luce del Sole ma al contempo non merita neanche di essere marchiato come un’inguardabile disastro tecnico. Hazelight Studios ha fatto quel che era in suo potere per restituire una buona resa visiva generale e, nei fatti, non ha sbagliato il colpo. Volendo muovere una critica giustificata, il team di sviluppo avrebbe forse dovuto lavorare più attentamente alla risoluzione di bug e glitch, presentatisi durante la nostra partita abbastanza frequentemente da averne purtroppo sentito il peso. A chiudere il tutto ci pensa infine un ottimo doppiaggio inglese – accompagnato da una localizzazione dei testi in italiano – e una colonna sonora che accompagna più che degnamente le tante situazioni che si andranno a vivere in-game.