Dopo le controversie venutesi a creare durante lo sviluppo di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, conclusesi infine con l’allontanamento di Kojima e del suo team, in molti si sono subito chiesti cosa sarebbe successo all’amato brand di Metal Gear Solid, domande e quesiti che hanno trovato ben presto delle risposte non proprio entusiasmanti.
Dopo l’annuncio di alcuni pachinko a tema Metal Gear che hanno fatto infuriare i fan, evento già di per sé distruttivo per la mente di un qualsiasi amante della saga, nessuno si sarebbe aspettato quello che Konami avrebbe presentato di lì a poche settimane.
Superato un breve momento di calma, infatti, la società giapponese ha approfittato della Gamescom 2016 di Colonia per annunciare a sorpresa il suo nuovo progetto, Metal Gear Survive.
Se già il nome non era stato capace di convincere il pubblico, soprattutto in un periodo dove escono quantità industriali di survival che vengono dimenticati dopo due ore dalla pubblicazione, la spiegazione della nuova direzione narrativa intrapresa nel gioco ha semplicemente distrutto le aspettative di ogni singolo videogiocatore speranzoso di ritrovarsi con un nuovo capitolo del brand meritevole d’attenzioni.
Sia chiaro, la trama di Metal Gear Solid non è mai stata semplice da seguire e la presenza di Kojima ha spesso portato alla realizzazione di numerosi momenti decisamente fuori dagli schemi ed inaspettati, probabilmente non proprio adatti per i toni di un brand così cupo ma comunque estremamente apprezzati in quanto vero e proprio marchio distintivo dello sviluppatore giapponese più amato di sempre.
Quando però si decide di inserire nel calderone universi paralleli e zombie… beh, forse sarebbe meglio prendersi una pausa riflessiva e chiedersi cosa sia giusto fare, soprattutto quando la maggior parte delle persone che dovrebbero sostenere il tuo progetto tendono già ad identificarlo come l’Umbrella Corps di casa Konami.
La prima cosa che Konami ha voluto prontamente specificare dopo l’annuncio del gioco è che Metal Gear Survive altri non è che uno spin-off del brand totalmente slegato dalle vicende degli ultimi capitoli della serie (come Umbrella Corps) ma che ne sfrutta comunque le basi per poter realizzare qualcosa di completamente diverso e che, a conti fatti, pone più di un interrogativo sul perché si sia deciso di chiamare il tutto “Metal Gear” (esattamente come Umbrella Corps).
Già da un punto di vista puramente narrativo, di fatto, il gioco sembra dimostrarsi per quello che è, una mera scusa con cui attirare quanti più utenti possibili sfruttando un nome noto.
Metal Gear Survive prende infatti il via nelle fasi conclusive di Ground Zeroes, nel momento in cui Snake e Kaze fuggono in elicottero da una Mother Base oramai in rovina ed avvolta tra le fiamme. In mezzo ai detriti, però, ecco comparire il nostro protagonista, ovvero un semplice soldato lasciato indietro ed ormai abbandonato al suo triste destino.
Proprio quando sembra essere arrivata la nostra fine, ecco però che tra le stelle si viene a formare un portale interdimensionale talmente fuori contesto che neanche Uwe Boll e Michael Bay sotto acidi sarebbero stati in grado di far peggio.
I resti della Mother Base, insieme ovviamente al nostro protagonista, vengono risucchiati in un’altra dimensione in cui, con l’aiuto di altri umani ben consci degli orrori che si aggirano in quel mondo, dovremo cercare di sopravvivere a insidie di ogni tipo, da mostri grandi quanto interi palazzi a mandrie di zombie assetati di sangue che il pubblico ha già rinominato “Zombie-Unicorno” a causa dei caratteristici corni rossastri conficcati nelle loro teste.
Se già l’incipit narrativo non fa gridare al miracolo ed anzi, potrebbe far gridare per ben altri motivi, quanto visto a livello di gameplay ha rappresentato il vero e proprio colpo di grazia.
Se infatti alla Gamescom è stato mostrato solo un misero trailer che, poco o nulla, faceva capire della struttura di gioco che il titolo avrebbe effettivamente posseduto, il Tokyo Game Show ha rappresentato il luogo perfetto in cui mettere in luce il titolo in tutto il suo “splendore”.
Innanzitutto, per rimarcare l’idea di un titolo slegato dal brand di Metal Gear Solid, è stata resa palese la componentistica cooperativa che gli sviluppatori hanno voluto imprimere all’opera, con fino ad un massimo di quattro giocatori che dovranno collaborare tra loro, al fine di completare obiettivi di diversa natura, ognuno dei quali si comporrà di due specifiche fasi: conquista e difesa.
Nell’unica demo mostrata fino ad ora, i quattro personaggi collaboravano tra loro per raggiungere uno specifico punto della mappa da liberare dalla presenza nemica ed in cui piazzare un trasmettitore. In questa prima fase della missione, l’ossatura del gioco si è rivelata pressoché identica a quella presente in The Phantom Pain, con la possibilità di muoversi furtivamente per eliminare silenziosamente le minacce presenti sulla mappa.
Nel video mostrato, però, si è resa palese fin da subito una problematica di gioco intrinsecamente connessa alla natura delle creature che andremo ad affrontare. L’intelligenza artificiale dei non-morti è rozza, volutamente appena accennata e, conseguentemente, facile da eludere.
Il nemico potrà sentirvi ma non avrà modo di vedere ciò che accade intorno a lui, limitandosi a muoversi in direzione del luogo in cui si è generato un qualche suono. Ciò, però, comporta anche l’impossibilità del nemico di difendersi dallo stesso mondo di gioco, con conseguenze al limite del tragicomico.
I mostri, infatti, potrebbero buttarsi giù da un burrone o da un edificio, così come potrebbero dirigersi in direzione di un incendio e prendere fuoco, tutti comportamenti in realtà coerenti con l’idea posta in capo dagli sviluppatori ma che danno vita ad una struttura di gioco che mal si sposa con la piacevole complessità e libertà d’azione che la componentistica stealth di The Phantom Pain era in grado d’offrire.
Le due uniche differenze sostanziali con il passato sono rappresentate dalla possibilità di conversare con i propri compagni utilizzando frasi preimpostate in modo tale da coordinarsi per superare possibili ostacoli dislocati lungo la strada e dalla presenza di alcune armi rudimentali, come lance ed archi, con quest’ultima in particolare che si è dimostrata praticamente inutile in ogni situazione in cui i nemici prendevano in mano l’iniziati venendoci incontro.
Gli sviluppatori hanno inoltre fatto sapere che i non-morti visti in video saranno i nemici più comuni che incontreremo, ma non gli unici, dichiarazione che fa sperare in un buon assortimento di mostri che potrebbe aggiungere un pizzico di varietà in più ad una struttura di gioco che, purtroppo, al momento non sembra offrire molto.
Se la prima fase della demo si è rivelata essere solo un mero “more of the same” di quanto visto in passato, la fase di difesa della missione mostrata ci ha sorpreso. Dopo aver piazzato il trasmettitore nel punto d’interesse, il nostro compito sarà quello di difenderlo dagli attacchi nemici, divisi in ondate.
Da questo momento in poi, tutta la struttura di gioco tende ad avvicinarsi alle meccaniche base di un tower defense, con la possibilità di spendere risorse su di un tavolo da crafting per realizzare armi e barriere da posizionare in giro per l’accampamento, utili a rallentare l’avanzata nemica mentre si contribuisce in prima persona al suo annientamento.
Il vostro compito, insomma, sarà quello di realizzare torrette, mitragliatrici fisse, barricate di fortuna, recinzioni avvinghiate dal filo spinato e quant’altro in vostro possesso per evitare che il nemico raggiunga il trasmettitore e lo faccia a pezzi, di fatto facendovi fallire la missione.
In tal senso, la software house ha fatto sapere che il tavolo da crafting non sarà utilizzabile solo in momenti precisi dell’avventura, ma potrà essere usato liberamente anche al di fuori delle missioni, il che non può che far pensare alla possibilità di potenziare il nostro campo base in maniera non dissimile da quanto era possibile fare con la Mother Base in The Phantom Pain.
Inoltre, nel corso della presentazione è stato possibile osservare le nuove funzionalità dell’iDroid, il quale non vi mostrerà solo la barra della vita, bensì anche quella della resistenza, della sete e della fame, oltre ad un indicatore del peso trasportabile, esattamente come nel più classico dei survival.
Chiude il tutto un comparto tecnico che ha messo in mostra le chiare intenzioni del team di sviluppo, il quale ha voluto sfruttare tutto ciò che era stato fatto nel capitolo principale del brand per ammortizzare i costi di sviluppo.
Non solo il comparto grafico si è rivelato essere sostanzialmente identico, con animazioni, texture ed ambientazioni stesse riprese pari pari da The Phantom Pain, il tutto con la sola aggiunta di qualche filtro grafico e qualche edificio distrutto per dare l’idea di un mondo post-apocalittico, ma buona parte degli strumenti visti in passato saranno qui riproposti in maniera sostanzialmente identica, tra cui figurano in particolar modo il binocolo e l’ormai famoso sistema Fulton.
Sia chiaro che è ancora troppo presto per poter dare un giudizio definitivo sul titolo, ma se il buongiorno si vede dal mattino, forse sarebbe il caso di fingere che questo prodotto non sia mai esistito per evitare pesanti e palpabili delusioni.